Cosa succederebbe, se durante la festa del suo compleanno, il festeggiato, vostro amico, si offrisse, seriamente, di darvi dei soldi per ricompensarvi del regalo che gli avete appena donato? O se l’amica che avete invitato a casa per cena si offrisse, come segno di apprezzamento, di pagarvi per il disturbo? Probabilmente, dopo una prima reazione di disorientamento, vi sentireste insultati da questa situazione paradossale e probabilmente mettereste in dubbio il tipo di relazione che vi lega a questi “amici”. Ma perché? Eppure entrambi volevano solo esprimere la loro riconoscenza ricambiando il vostro regalo e il vostro invito con una compensazione monetaria.
Se ci pensate un attimo, siccome un regalo rappresenta un costo per chi lo fa, ogni compensazione monetaria che abbassi questo costo dovrebbe rendere il regalo meno costoso e quindi più frequente o almeno dovrebbe elevarne il valore medio. Come una deduzione fiscale sulle spese di ristrutturazione o un sussidio sulle auto elettriche sono pensati per far aumentare il numero di ristrutturazioni e l’acquisto di auto elettriche. Cosa c’è di strano, allora, nel caso della festa di compleanno o della cena con la vostra amica? C’è il fatto che in questo caso non si parla di beni qualsiasi, ma si parla di regali e ogni regalo risponde alla logica del dono e la logica del dono mal si attaglia a quella dello scambio di equivalenti. Se si riceve un dono questo non si paga, e, se lo pagate, allora vuol dire che ciò che avete ricevuto non è un dono.
La logica del dono, quando il dono è genuino, funziona sulla base di motivazioni intrinseche che ci spingono ad una certa azione perché la riteniamo giusta e nell’azione stessa troviamo la sua ricompensa, magari nell’amicizia rinsaldata o anche nella reciprocità per un dono a nostra volta ricevuto. Diversamente da quelle intrinseche, le motivazioni estrinseche ci spingono ad un certo comportamento nella speranza di ottenerne un beneficio. Faccio questo perché così ottengo quest’altro. Le motivazioni sono questioni delicate, fragili, che spesso gestiamo in maniera grossolana e senza troppe cautele. E infatti, spesso, nel cercare di incentivare certi comportamenti facendo leva sulle motivazioni estrinseche, distruggiamo le motivazioni intrinseche. Così quanto il vostro amico si offre di pagarvi il regalo che gli avete appena fatto non vi motiva a fargliene un altro l’anno successivo, anzi, vi scoraggia facendovi sentire offesi. Questo fenomeno si chiama “spiazzamento motivazionale” (motivational crowding-out) e spiega, tra le altre cose, perché l’Organizzazione Mondiale della Sanità, consideri l’uso di incentivi economici in cambio della donazione del sangue una politica pericolosa e controproducente.
Le linee guida messe a punto dall’Organizzazione suggeriscono che il sangue dovrebbe essere ottenuto esclusivamente su base volontaria. Tale posizione è stata ratificata a livello internazionale nella cosiddetta “Convenzione di Melbourne” che nel 2009 ha dichiarato la volontà dei governi e delle organizzazioni sanitarie di più di 40 nazioni di lavorare per un sistema di raccolta del sangue e dei suoi derivati basato al 100% su donazioni volontarie e non remunerate. La stessa politica sembra essere largamente in linea con la percezione dei donatori in tutto il mondo che mostrano una forte avversione al fatto di essere pagati in cambio del loro sangue.
Gli studi al riguardo subirono una accelerazione quando, nel 1971, il sociologo inglese Richard Titmuss pubblicò un libro intitolato evocativamente “The Gift Relationship”, nel quale metteva a confronto il sistema di raccolta del sangue in Inghilterra, basato sul dono volontario, con quello degli Stati Uniti, fondato sulle “commercial blood banks”, cioè sull’acquisto del sangue. Titmuss mostrò come il sistema inglese fosse in grado di garantire un maggiore volume di sangue, una maggiore regolarità nelle donazioni ed una superiorità anche in termini di qualità del sangue raccolto. Da allora molti altri studi si sono susseguiti con risultati a volte contrastanti. Una recente ricerca svedese ha mostrato l’inefficacia di varie forme di incentivi monetari per rafforzare la volontà di donare il sangue assieme ad un fortissimo effetto demotivante specialmente per le donne (Mellström, C., Johannesson, M., (2008). “Crowding Out in Blood Donation: Was Titmuss Right?” Journal of the European Economic Association, 6(4) pp. 845–863). Altri studi condotti principalmente negli Stati Uniti, mostrano effetti positivi, ma solo limitatamente all’uso sporadico, non automatico, di incentivi simbolici, come magliette, tazze, poster, etc. (Lacetera, N., Macis, M., Slonim R., (2012). “Will There Be Blood? Incentives and Displacement Effects In Pro-Social Behavior”. American Economic Journal: Economic Policy, 4(1), pp. 186-223).
Il caso del sangue è un caso specialissimo. Un dono agli estranei. Un tale dono non si compra, e quando ci si tenta, gli effetti possono essere fortemente controproducenti. La logica del dono è una logica complessa, delicata, sensibile. Gli studi non sono concordi e l’Organizzazione mondiale della Sanità sconsiglia fortemente il ricorso al dono non volontario.
Poi però arriva il ministro Salvini, ministro degli interni, che con una delle sue tipiche e inspiegabilmente tollerate, invasioni di campo, propone di ricompensare con crediti formativi «chi dona il sangue, sia nei licei che negli istituti tecnici e nelle università», in modo da incentivare coloro che «hanno paura dell’ago o hanno qualche dubbio (…) Si potrebbe pensare ad un’iniziativa per la quale se mi porti il cedolino della donazione ti do due crediti in più». Così. Di cosa stupirsi del resto? Lo stesso Ministro aveva proposto l’anno scorso l’istituzione di una non meglio definita donazione «volontaria obbligatoria per gli studenti».
Sono proposte la cui improvvisazione e superficialità, già da sole, sconcertano. Proposte che ignorano totalmente le conoscenze sviluppate a riguardo e che si connotano come “sparate” puramente propagandistiche. Proposte non realizzabili, a detta degli stessi protagonisti del settore: l’Avis, per esempio, prendendo le distanze dalla boutade del Ministro, fa notare in una nota ufficiale come «in nessun caso i crediti formativi possono riferirsi alla mera attività di donazione». La cosa sarebbe, del resto, discriminatoria nei confronti di coloro che il sangue non possono donarlo, anche volendo, perché magari sottopeso o affetti da qualche patologia inibente.
Al di là della proposta specifica, che pure riguarda un tema importantissimo, questo approccio mette in evidenza una grande distanza ed una grave incomprensione delle logiche di un mondo fondamentale per la vita della nazione. Qualcuno lo chiama terzo settore, altri società civile, altri ancora il terzo pilastro. Si tratta di quell’area che ricomprende persone, organizzazioni, attività che non hanno né l’autorità statale, né il lucro del mercato, come movente principale. Che si muovono spinte volontariamente dalla logica del dono e della reciprocità. Che rendono le nostre comunità più civili e vivibili, accoglienti e inclusive. Perché migliorando la vita degli ultimi si migliora la vita di tutti.
Ma che importa a certa politica? A questa politica importa far parlare si sé, anche immaginando provvedimenti e misure totalmente irrealizzabili. Suscitare consensi a buon mercato, anche se non si conosce bene ciò di cui si parla. Anche mischiando incentivi e dono, anche se si intorbidano le acque, anche se la donazione di sangue si potrebbe favorire con misure più efficaci, precise e moderne. Questo, però, necessiterebbe un lavoro serio, lungo e profondo, ma forse troppo profondo, così profondo che non si raggiungerebbero le prime pagine dei giornali. E allora questo no, di questo non si parla. Questo non si fa. Perché “no like, no mike”.
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