Se la situazione non precipita (strappo della Lega, ipotesi di elezioni anticipate in autunno, quadro politico sotto scossa tellurica), chi farà la manovra per la legge di bilancio 2020? La prima, ovvia risposta che viene in mente è: il governo gialloverde guidato dal premier avvocato Giuseppe Conte, garante del contratto sottoscritto nel 2018 tra il leader del Mov5Stelle Luigi Di Maio e il leader della Lega Matteo Salvini (entrambi vicepremier e ministri).
Ma non è così, e questa risposta è del tutto insufficiente. Perché il voto europeo ha ribaltato i rapporti di forze tra Cinque Stelle e Lega e perché, per iniziare, il ruolo stesso del Presidente del Consiglio (insieme al ministro dell'Economia Giovanni Tria alle prese con un difficilissimo negoziato con l'Europa per evitare all'Italia la procedura d'infrazione) galleggia sulle sabbie mobili del rapporto con i due vicepremier, gli azionisti del Governo. I quali non danno carta bianca al premier.
Non bastasse, ecco qualche ulteriore novità appena affiorata dalle cronache politiche. Si assiste ad un curioso balletto. Un rimpasto di governo che tenga conto del mutato rapporto di forza Salvini-Lega? Dice Di Maio: “se la Lega vuole qualcosa lo chieda. altrimenti chiudiamo questa storia e tutti felici e contenti”. Risponde Salvini: “Di Maio dice che non ci sarà rimpasto? Perfetto, io non chiedo niente. Mettere in discussione (Infrastrutture, Ambiente e Difesa nel mirino della Lega, ndr) i ministri Cinque Stelle? Non mi permetterei mai, questa è una valutazione che spetta a Di Maio”.
Insomma, una strategia parallela dei due vicepremier all'insegna di un “prego, s'accomodi, dica prima lei”. Strategia che raggiunge il suo culmine con la legge di bilancio per il 2020. “La manovra? Spetta alla Lega, hanno vinto loro”, ha spiegato Di Maio. E la palla viene così ripassata di nuovo nella mani di Salvini, che al momento continua a ripetere che entrerà in campo la flat tax. Ma è chiaro che la partita scotta, perché non si sa come far quadrare i conti. E il ruolo del “manovratore” (con l'occhio sempre rivolto ai sondaggi e al gradimento degli elettori) è il più scomodo che si possa immaginare. Del resto Salvini ha stravinto, no? I grillini non vogliono elezioni anticipate, questo è il loro primo problema. Sul resto si tratta: Salvini può accomodarsi in sala regìa per la prossima legge di bilancio. E se la veda lui, di fatto, anche con Conte e Tria.
Impossibile prevedere come finirà questa strana partita. Però c'è anche un altro dato da valutare. Vero è che la Lega è passata dal 17 al 34% alle elezioni europee, ma vero anche che in termini di rapporti di forze nel Parlamento italiano i numeri sono quelli del voto politico del 4 marzo 2018. Alla Camera, il Mov5Stelle dispone di 227 seggi su 630, al Senato di 111 seggi su 314 (ci sono stati poi dei distacchi dissenzienti ma in generale il discorso non cambia). La Lega dispone di 125 seggi alla Camera e di 58 al Senato.
Manovratore cercasi, ma dietro c'è anche questa (divergente) realtà. E i numeri, in Parlamento, non solo si pesano ma si contano anche.
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