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Questo articolo è stato pubblicato il 26 ottobre 2010 alle ore 13:58.
Mi ha sempre colpito il fatto che spesso e non sempre a proposito alla parola onestà si faccia seguire l'aggettivo «intellettuale». É quasi come se due tra le più alte componenti dell'essere umano, l'onestà e la capacità intellettiva, si trovassero fuse insieme in un'unica bellissima espressione.
Non solo. Mi sembra così naturale la vicinanza di queste due parole che non posso fare a meno di pensare che l'onestà sia esercizio proprio dell'intelletto più acuto e che non esista discorso intellettuale senza la precisa volontà di essere onesti con noi stessi e con gli altri.
Detto questo, se penso al dibattito sulla mancanza di spazi per fare cultura nel nostro Paese, mi sorge il dubbio che la ferita non sia poi così profonda.
Mi spiego: la cultura ha permesso all'umanità di arrivare dove siamo. L'evoluzione tecnologica, la conquista dei diritti umani, la riflessione sui limiti e le possibilità dell'Uomo, la conoscenza del cosmo e della psiche, sono frutto di cultura. Una società che scientemente rinunci a conoscere se stessa e il mondo è destinata alla barbarie e all'estinzione. É una scelta pericolosa quindi, ma di fatto, molto facile da fare: basta sostituire la complessità del dibattito e la scomodità di certe idee con un pugno di opinioni talmente convenzionali da arrivare perfino alla Rai.
In realtà quindi, potremmo dire che la cultura non è morta: è solo diventata altra. É la recensione benevola dell'ultimo parto dell'amico degli amici; è il film tratto dal libro ma aggiustato un po' perché il finale faceva tristezza; è un nome che pretende un seguito a prescindere da quello che dice; è il libro che tutti hanno, l'opera d'arte temporanea e il cantante che si droga solo quando non deve andare in tv.
Questa cultura altra ha tutto lo spazio che le serve e ne prende sempre di più. Editori, direttori di giornali, galleristi, produttori ne legittimano l'esistenza e la nobilitano perché funziona: vende. Alle spalle del loro cantante/ attore/ scrittore stravenduto, diranno che si deve pur campare e che comunque per la qualità lo spazio c'è, anche se poco. Ed è vero, perché anche la nicchia compra e fa mercato. Poco, ma lo fa. É un ragionamento vincente, remunerativo, ma non è intellettualmente onesto quindi parliamo di editori, direttori, produttori, non di intellettuali.
Poi ci sono gli artisti. Ogni ambito avrà le sue peculiarità, quindi limiterei il discorso agli scrittori. Lungi dal pretendere da ognuno di loro una superiorità morale tradizionalmente attribuita all'uomo di lettere, sento emergere dalla parte più italiana di me una certa diffidenza. Questo perché leggo i loro libri, (non tutti, i migliori), confronto le loro opinioni, taro la mia visione della realtà sulla base dei loro ragionamenti complessi, intelligenti. Li cerco negli spazi che riescono a conquistarsi e mi beo della loro presenza e dell'influenza positiva che hanno sulla mia vita. Sono fortemente convinta che ogni loro articolo ben argomentato mi renda una persona migliore, per questo ne ho bisogno.