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Questo articolo è stato pubblicato il 31 ottobre 2010 alle ore 16:31.
«Si è mai chiesta perché quando va in onda un servizio su uno scavo archeologico a lavorare si vedono solo giovani?», chiede Tsao Cevoli, archeologo anch'egli. «Il fatto è che questo è un lavoro da giovani. Perché dopo molli. E dopo 5 anni ti trovi a fare qualcos'altro, magari l'insegnante o la guida turistica».
Cevoli, napoletano, 38 anni, da 5 è presidente dell'Ana, l'associazione nazionale archeologi, la prima nel suo genere in Italia, fondata insieme a colleghi e coetanei. Sono 2500 gli iscritti, "io sono uno dei più anziani", che pagano 20 euro all'anno da socio ordinario o 5 da studente per proporre un nuovo modo di pensare l'archeologia e di fare questa professione.
Lui ha studiato a Napoli e poi ha lavorato in Grecia, Bulgaria, a Cipro, ha nel curriculum decine di articoli e partecipazioni a convegni. E un libro su Pompei pubblicato in Grecia, dalle edizioni Periscopio. Nel 2003 ha avuto anche l'idea di fare il primo censimento nazionale degli archeologi, per monitorare la loro condizione, e ora sta lavorando all'edizione aggiornata.
Un'attività intensa che vuole contribuire a riscrivere lo spazio pubblico, come ha suggerito Christian Raimo dalle pagine della Domenica, attraverso lo scardinamento del «freno tirato con cui in Italia si fa archeologia e si gestiscono i beni culturali. I giovani archeologi sono fra i professionisti più qualificati del nostro paese, con laurea, dottorato e uno o più corsi di specializzazione, ma sono anche fra i più precari. Ci sono rigidità nel ricambio generazionale delle sovrintendenze, monopoli nella gestione dei musei che non lasciano spazio alle giovani cooperative, ci sono procedure di reclutamento non trasparenti e troppo spesso lontane da criteri meritocratici. Abbiamo fondato l'Ana per provare a cambiare tutto questo».
I rappresentanti delle 15 sedi regionali a marzo si sono riuniti ai musei capitolini di Roma per il loro secondo congresso nazionale, organizzano tavole rotonde nelle università e petizioni su facebook (quella contro l'archeocondono ha avuto quasi settemila adesioni), chiedono incontri con funzionari del Ministero, assessori regionali, aziende, giornalisti, anche stranieri. A luglio il vicepresidente Salvo Barrano, 34 anni, ne ha accompagnato uno del New York Times per le rovine di Roma, per fargli capire che i resti dell'impero sono sempre più a rischio. La loro è tutta attività gratuita, incastrata fra la serie di contratti a partita iva. Perché un posto fisso, nel ministero o in una sovrintendenza, è un miraggio. Come un tariffario delle prestazioni.