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Questo articolo è stato pubblicato il 13 luglio 2014 alle ore 08:14.

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Conosciamo poco della cultura dell'antica Cina, senza la quale non si spiega il miracolo economico di oggi, ancor meno sappiamo delle profondità religiose dell'India, del mondo islamico, del protestantesimo degli Stati Uniti, di come si sia formata una grande nazione come il Brasile.
Cosa ci dice l'indagine sulle culture orientali? Molte cose ma forse la più importante è nell'approccio della sua filosofia di vita: «in Oriente l'identità del singolo e inseparabile dall'identità del suo gruppo», avverte De Masi, «e si struttura in base ai reciproci legami. L'Occidente guarda al mondo con occhi razionali, cercando di superarne le contraddizioni; l'Oriente pensa che gli opposti siano complementari e valorizza le contraddizioni per penetrare l'essenza di un oggetto o di un concetto attraverso la sperimentazione del suo opposto».
Tuttavia, sarebbe sbagliato pensare che l'Occidente non abbia più riserve, le ha certamente in quella carica all'«esistenza laboriosa» praticata dal mondo protestante, si veda la Germania che dispone di una «società che lavora sodo e spende poco». E gli Stati Uniti restano la nazione capofila del mondo, con il Pil più ricco, il maggior numero di premi Nobel, le università migliori, la maggiore implementazione e diffusione di nuove tecnologie. L'Europa è ancora percepita come un pezzo di «antiquariato sociale», dove trionfano l'autolesionismo, l'assistenzialismo, il ripiegamento, la burocrazia; la sua freschezza è spenta dai cosiddetti intellettuali integrati, quei radical chic così definiti da Tom Wolfe in un famoso articolo sul «New York Times». Nonostante tutto questo, resta un luogo guida della civiltà globale per il sedimento delle sue culture capaci di influenzare l'evoluzione dell'umanità. La scommessa dell'Europa sarà la difesa del suo status, quello del «più grande blocco economico del mondo, con la migliore qualità della vita, il maggior rispetto dei diritti umani, l'istruzione più diffusa». José Ortega y Gasset, Walter Lippmann e Benedetto Croce, richiamati da De Masi, avevano avvertito i pericoli della società di massa dove c'è «l'avvento dell'autoritarismo facilitato dalla superorganizzazione e dalla disintegrazione del tessuto sociale». In Europa il ridimensionamento della classe media rende ancora più forte questa insidia.
La realtà globale è complessa, come non mai connessa, e non ha ambiti bianchi e ambiti neri ma immense zone intermedie, a macchia di leopardo, dove speranze si confondono con elementi drammatici. William Graham Sumner (1840-1910) noto sociologo americano ci avvertiva che «la più grande follia di cui un uomo può essere capace e quella di mettersi a sedere con carta e matita per progettare un nuovo mondo sociale».
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Domenico De Masi, Mappa Mundi. Modelli di vita di una società senza orientamento, Rizzoli, Milano,
pagg. 888, € 21,00

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