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Questo articolo è stato pubblicato il 13 luglio 2014 alle ore 08:14.

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L'albero genealogico dei Lanza Branciforte di Trabìa si rafforza nell'Ottocento grazie all'unione con i Florio, i cui capitali di origine industriale si saldano con le rendite secolari di una tra le famiglie più blasonate della Sicilia. Nel 1915, dalla relazione non del tutto segreta tra Giuseppe Lanza e Madda Papadopoli Aldobrandini, nobildonna veneta già sposata, nasce Raimondo: al quale «toccherà ballare» parecchio prima di poter diventare un Lanza Branciforte di Trabìa. In quanto figlio illegittimo, Raimondo è infatti registrato all'anagrafe con il cognome della levatrice. Il suo riconoscimento avverrà solo in età adulta, con l'entrata in vigore del nuovo Codice civile fascista, che abolirà la distinzione tra figli legittimi e naturali.
Il ritratto dell'ultimo principe di Trabìa che ci consegnano la figlia Raimonda e la nipote Ottavia Casagrande è quello di un uomo fuori del comune. Il colpo a sorpresa arriva però alla fine del libro. Raimondo non sarebbe morto suicida: potrebbe essere stato assassinato da quanti si adoperavano per dirottarne i beni nelle mani della mafia. È solo uno scenario sorretto da corposi indizi. Ma tanto basta a insinuare il dubbio che il dissesto finanziario dell'aristocratico casato siciliano possa avere avuto una regia occulta.
Dopo la prematura scomparsa del padre, deputato nazionalista che ha ripudiato il fascismo, Raimondo appena adolescente è affidato alle cure della nonna, Giulia Florio, che è andata in sposa al principe Pietro Lanza Branciforte di Trabìa, mentre il fratello, Galvano, si trasferisce con la madre a Vittorio Veneto. La «mediocrità cafona» di Palermo, così bollata in una delle lettere ritrovate dalle autrici, l'austero e un po' plumbeo palazzo Butera con lo stuolo di camerieri in livrea e parrucca e l'infilata di saloni, la nonna che cerca di tenerlo a freno, confliggono con l'ansia di libertà di Raimondo. Il ragazzo aspetta come una liberazione la chiusura delle scuole per partire per Capri e poi ricongiungersi alla madre.
Raimondo cresce in fretta. Si trasferisce nel solitario castello di Trabìa, dove non vi sono né luce elettrica né acqua corrente. È un bell'uomo, eccentrico, trascinatore. Conduce un'esistenza sregolata: donne, gioco d'azzardo, viaggi, mondanità. Ha una contagiosa bramosia di vivere. Ama dare scandalo. Gli piacciono i travestimenti, gli scherzi. Frequenta il bel mondo: da Gianni e Susanna Agnelli a Luchino Visconti; da Errol Flynn a Rita Hayworth; da Greta Garbo ai principi di Piemonte. È a Buckingham Palace per il matrimonio di Marina di Grecia e di Danimarca con il duca di Kent. Diventa amico del conte Galeazzo Ciano e amante della moglie, Edda Mussolini, dalla quale poi si allontana, andando a combattere in Spagna come volontario accanto ai franchisti. Svolge attività spionistica per il Sim, il servizio segreto militare fascista, e dopo l'8 settembre '43 supera le linee nemiche per raggiungere il re e il maresciallo Badoglio rifugiatisi a Brindisi.
In quegli stessi giorni Galvano presenzia come interprete alla firma dell'armistizio di Cassibile dopo avere accompagnato in missione segreta ad Algeri il generale Giuseppe Castellano incaricato di trattare la resa con gli anglo-americani. E al loro seguito è partito per Algeri anche Vito Guarrasi, grande amico di Galvano, protagonista delle vicende siciliane (e non solo) dei decenni successivi: dal milazzismo alla nascita dell'Anic di Gela al caso Mattei.
Ed è proprio il nome dell'enigmatico avvocato Guarrasi ad aleggiare nei capitoli finali senza essere mai citato. L'Amministratore con la maiuscola al quale Galvano affida la gestione del patrimonio di famiglia risponde al suo identikit. È l'Amministratore a caldeggiare la realizzazione di un impianto di flottazione dello zolfo che dovrebbe rilanciare la miniera Tallarita, il cui fallimento contribuirà a portare a fondo casa Lanza. È l'Amministratore ad occuparsi del feudo Polizzello, affidato in gabella al capomafia Calogero Vizzini, che il comando militare alleato nominerà sindaco di Villalba. I soldi di casa Trabia, dopo la scomparsa della principessa Florio, alimentarono un sistema assistenziale che fu «fonte inesauribile di voti, nonché carrozzone dove finivano amici "eccellenti"». E il visionario Raimondo era presumibilmente d'intralcio a questo sistema politico-affaristico-mafioso.
L'indizio principale a sostegno della tesi delle autrici è un contratto. Raimondo prima di morire cercava di convincere il riluttante Galvano a uscire dallo zolfo per investire nel petrolio. All'apparenza così disinteressato alla gestione dei propri beni, Raimondo aveva già sottoscritto un contratto di vendita che, per diventare esecutivo, avrebbe avuto bisogno della firma di Galvano. Per questo era partito per l'Oriente ed era passato da Teheran per salutare l'amica e regina Soraya, moglie dello Scia. Per questo l'armatore greco Aristotele Onassis era approdato a Trabìa con il suo panfilo, tra giochi d'artificio e fiumi di champagne.
Da qui in avanti, il giallo. Al ritorno dall'ultimo viaggio, Raimondo appena trentanovenne è sempre più nervoso, depresso. La moglie, l'attrice Olga Villi, è in attesa della seconda figlia (l'autrice di questo libro, che il padre non farà a tempo a conoscere), ma lui, Raimondo, ha bisogno di cure. Così parte per Roma, con Galvano, per consultare un luminare della neurologia. Le autrici provano a ricostruine le ultime ore di vita. Sembrano le scene di un thriller: il medico visita Raimondo, gli fa un'iniezione, lo lascia tornare in albergo; Raimondo sotto l'effetto del farmaco cade in un sonno profondo; degli sconosciuti penetrano nella sua stanza, lo sollevano di peso e lo buttano giù dalla finestra per orchestrarne il suicidio.

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