Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 27 luglio 2014 alle ore 08:14.
L'ultima modifica è del 27 luglio 2014 alle ore 13:50.

My24

Anche per il cinema si può, comunque, riproporre l'antica quérelle che ha tormentato critici e teologi riguardo alla definizione dell'arte sacra o dell'arte religiosa (che non sono necessariamente sinonimi). In realtà, bisognerebbe superare le classificazioni troppo rigide perché anche un film a esplicito soggetto religioso può risultare spiritualmente insignificante, e un film di tema e taglio profano può essere di altissima impronta religiosa. L'esemplificazione che meriterebbe un'analisi particolareggiata è molto ampia e impressionante: pensiamo alle opere di Dreyer, Bresson, Bergman, Tarkovskij, Buñuel, Rossellini, Olmi e così via, autori non tutti credenti. Dobbiamo, infatti, riconoscere che un grande regista in ricerca autentica (esemplare in questo senso è Bergman ma anche «l'ateo per grazia di Dio» Buñuel) può generare vere e proprie meditazioni teologiche e parabole di intensa umanità e spiritualità.
Nel 1951 nei suoi Minima moralia il filosofo Theodor W. Adorno annotava questa sconsolata esperienza personale: «Da ogni spettacolo cinematografico mi accorgo di tornare, per quanto mi sorvegli, più stupido e più cattivo». Non sappiamo a quali film assistesse per ottenere un esito così catastrofico. Certo, milioni di chilometri di pellicola e ora di immagini digitali possono confermare questa convinzione; ma, come dicevamo, c'è anche un ricco repertorio di film di eccezionale bellezza, intelligenza, interiorità e trascendenza. Che il cinema potesse spesso scadere nella superficialità vacua e fatua (anche in materia religiosa) era ribadito negli stessi anni di Adorno dal poeta e critico francese Antonin Artaud che nel suo La coquille et le clergyman (1928) dichiarava: «La pelle umana delle cose, il derma della realtà, ecco con che cosa gioca anzitutto il cinema».
Eppure questa pessimistica rilevazione non impediva ad Artaud di diventare attore con una superlativa interpretazione del monaco Massieu in quel gioiello filmico – tutt'altro che fermo all'epidermide della realtà – che è stato la Passione di Giovanna d'Arco di Carl Dreyer. E questo grande regista danese, morto nel 1968, girando questo film, confessava: «Bisogna arrivare a dare veramente al pubblico l'impressione di vedere la vita attraverso il buco della serratura dello schermo … Io non cerco altro che la vita. Il regista non conta nulla, la vita è tutto ed è essa a dominare. Quel che importa non è il dramma oggettivo delle immagini, ma il dramma soggettivo delle anime».
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi