Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 03 agosto 2014 alle ore 08:14.

My24

Gerald (Gerry) Maurice Edelman, uno dei più influenti e brillanti scienziati e intellettuali della seconda metà del Novecento, ha tolto il disturbo il 17 maggio scorso, a meno di due mesi dal suo 84º compleanno. Dire che ha «tolto il disturbo» non è così lontano da come la sua presenza e il suo carisma sono stati vissuti da numerosi colleghi, intellettualmente più conservatori; percezioni che riecheggiano in alcuni articoli che i principali quotidiani statunitensi hanno dedicato al lutto che ha colpito la scienza.
Iniziò la carriera scientifica, preferendola a quella di violinista, da disturbatore del mainstream del pensiero immunochimico, quando nel 1959 scopriva con eleganti esperimenti che gli anticorpi sono costituiti da quattro catene polipeptidiche, due pesanti e due leggere, tenute insieme da legami disolfuro. Il boss del laboratorio dell'allora Rockefeller Institute, dove lavorava, gli disse che quei dati erano inverosimili e non glieli avrebbe lasciati pubblicare su riviste del settore. Edelman li pubblicò come comunicazione a una rivista di chimica generale («Journal of the American Chemical Society») e tredici anni dopo, grazie a quei risultati, andò a ritirare il premio Nobel a Stoccolma.
L'interesse per gli anticorpi gli nacque dal fatto che i problemi della loro struttura biochimica e della loro origine erano una combinazione quasi unica di sfide allo stesso tempo teoriche e sperimentali. Egli ha sempre pensato che la scienza è fatta inscindibilmente di teorie ed esperimenti, condividendo il giudizio del suo principale eroe scientifico, Charles Darwin, per il quale «qualunque osservazione deve essere a favore o contro qualche idea, per servire a qualcosa». Aveva scelto gli anticorpi perché racchiudevano il segreto della logica funzionale dell'immunità, una risposta fisiologica dell'organismo che somiglia ai processi cognitivi prodotti dal cervello, implicando cioè l'esistenza di una memoria, di apprendimenti e di complessi processi di comunicazione, usati per difendere gli organismi da imprevedibili attacchi infettivi o tossici. Medico di formazione, aveva preso una laurea in chimica-fisica e quindi allestito, non appena divenne a sua volta un boss, un gruppo di biochimici che raccolse la sfida a chi avrebbe per primo sequenziato l'anticorpo. Ma come si potevano sequenziare in modo affidabile catene polipeptidiche che nel frattempo si era scoperto che sono composte di parti costanti e variabili? Semplice, usando gli anticorpi prodotti da plasmacellule (cellule che sintetizzano anticorpi) tumorali, ottenuti quindi da sfortunati pazienti con mieloma multiplo. Allora si chiamavano ancora «proteine di Bence Jones».
Insieme a Einar Gall e Joe Gally, si dedicò per oltre un decennio a studiare la biochimica e la genetica degli anticorpi, pubblicando per primo nel 1969 la struttura primaria, e ipotizzando quelle secondaria e terziaria, dell'anticorpo. Questo lavoro serviva per essere pro o contro la rivoluzionaria teoria immunologica della selezione clonale, proposta nel 1957 dall'australiano Frank Macfarlane Burnet. Questa ipotesi diceva che il sistema immunitario risponde a tono alle sfide antigeniche (profili molecolari che arrivano dall'esterno e possono essere minacciosi), usando la stessa logica darwiniana che governa l'evoluzione biologica: produzione di un repertorio di anticorpi diversi, con l'amplificazione differenziale delle cellule che portano sulla loro superficie gli anticorpi in grado di riconoscere stericamente (come una chiave che apre una specifica serratura) il profilo molecolare dell'antigene. Lavorando sul sistema di riconoscimento di stimoli ambientali basato sulla struttura degli anticorpi, Edelman scoprì un principio che governa i sistemi adattativi, cioè la degeneranza (degeneracy), che consiste nel fatto che a diversi livelli dell'organizzazione funzionale dei sistemi biologici in grado di apprendere dall'esperienza, si producono spontaneamente configurazioni che sono isofunzionali ma non isomorfiche, consentendo in questo modo di creare un repertorio praticamente infinito di possibili risposte integrate da parte del sistema, partendo da un numero finito di componenti.
Gli studi strutturali sull'anticorpo e sulle basi genetiche del potenziale di diversità confermarono la teoria della selezione clonale, ed Edelman cominciò a immaginare che anche il sistema nervoso forse usava la medesima strategia darwiniana. Tra il 1975 e il 1977, sfruttando le sue competenze uniche sulla chimica-fisica degli anticorpi e usando a modello le interazioni molecolari fisiologicamente significative nel sistema immunitario, guidò una ricerca i cui risultati, se non avesse avuto così tanti invidiosi nemici, gli sarebbero valsi un secondo Nobel. Infatti scoprì le molecole di adesione (Cam, Cell Adesion Molecules) che si trovano sulla superficie delle cellule e ne guidano le interazioni e i movimenti funzionali nei diversi processi fisiologici, in primo luogo l'embriogenesi che è la chiave dei processi di costruzione delle strutture e dei sistemi somatici adattativi. Incluso quello nervoso. Al cervello e al problema della coscienza, temi per i quali egli è più conosciuto al largo pubblico, arrivò passando quindi attraverso l'embriologia. Il saggio cruciale lo pubblicò nel 1978, come capitolo del libro The Mindful Brain, cofirmato con un altro Nobel, Vernon Mountscatle. Si intitolava Group selection and phasic reentrant signaling: a theory of higher brain function, e la leggenda dice che lo scrisse in un aeroporto italiano, durante un sciopero che lo bloccò mentre era di passaggio per far visita a una famosissima signora, con la quale intrattenne una relazione sentimentale.

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi