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Questo articolo è stato pubblicato il 24 agosto 2014 alle ore 17:09.

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Pete Seeger (1919-2014)Pete Seeger (1919-2014)

Nell'ottobre del 1955 Pete Seeger, ispirandosi a una vecchia ballata cosacca/ucraina, Tovchu Tovchu Mak, tramandata da Mikhail Sholokhov nella sua epopea Il Placido Don, scrive i versi di quella che sarebbe diventata una delle più grandi canzoni pacifiste di tutti i tempi: Where Have All The Flowers Gone. Questa canzone cosacca/ucraina/russa/americana scritta quasi 60 anni fa diventa una lezione di multiculturalismo in questa terribile estate del 2014, devastata da conflitti che sembrano distruggere l'ordine del post Guerra Fredda (e, se per questo, post Seconda guerra mondiale) proprio per insopprimibili intolleranze multiculturali.

Vale per il conflitto palestinesi/Hamas/israeliani, per quello interno all'Islam, fra sunniti e sciiti, per quello siriano, per quelli africani, per le orrende azioni contro i cristiani del nuovo Califfato del l'Iraq e del Levante. E per il conflitto fra governo ucraino e separatisti russi. Ci sono ampi riferimenti bibliografici per spiegare il contesto strategico e di tendenza di questi conflitti, a partire dal celebre saggio su «Foreign Affairs» di Samuel Huntington nel '93 sulle guerre di civiltà (Clash of Civilizations) che avrebbero fatto seguito alla fine della Guerra Fredda. Ci sono meno riferimenti per capire come si può tornare al multiculturalismo, al rispetto di tradizioni/religioni/convinzioni diverse fra loro. Alla convivenza. Per questo la storia della canzone di Seeger diventa un simbolo del possibile in quel lembo di coscienza pacifista che tutti noi abbiamo, africani, palestinesi, Hamas, israeliani, siriani, sunniti, sciiti iracheni e ovviamente russi e ucraini che questa canzone l'hanno ispirata.

Seeger, una delle grandi icone della musica folk americana, è in aereo, diretto in Ohio per un concerto. Un paio d'anni prima aveva letto l'epopea di Sholokhov Il Placido Don e aveva annotato dettagli della vecchia ballata cosacca/ucraina, Tovchu Tovchu Mak. La ballata racconta di fiori, di ragazze, di mariti, di soldati e di cimiteri. Seeger la riscrive in inglese. Non è soddisfatto della musica originale e adatta il testo alla musica di una vecchia canzone popolare russa, Koloda Duda. Where have all the Flowers Gone diventa una delle 20 grandi canzoni politiche americane di tutti i tempi.

Non interessano qui le discussioni fra critici (alle quali partecipò persino Aleksander Solgenitsin) sull'autenticità dell'opera di Sholokhov. Mi interessa invece in questa drammatica estate il ripetersi della storia e la linearità senza tempo dei sentimenti e della semplicità dei versi contro la violenza, contro la perdita di libertà, contro le guerre e contro la morte di giovani.

Anche perché c'è un filo narrativo poetico in questa storia: un attacco diretto alla violenza e all'ottusità umana che passa da un popolo di guerrieri a uno dei più grandi musicisti americani grazie all'opera degli anni Venti di uno scrittore russo che vincerà il premio Nobel per la letteratura.

Intanto colpisce che fossero proprio i cosacchi con le loro leggendarie tradizioni militari a ispirare questa canzone: andavano alle armi a 18 anni per tre anni di addestramento. Prestavano servizio attivo per altri dodici anni e restavano poi in riserva per altri cinque anni. Sono loro che nei secoli e dopo ribellioni storiche come la rivolta Khmelnytsky hanno contribuito più di ogni altro gruppo etnico alla formazione di una coscienza nazionale che avrebbe portato alla formazione e all'indipendenza dell'Ucraina nel lontano 1917. Durante la rivoluzione russa i cosacchi erano schierati dalla parte dei russi bianchi, contro i bolsheviki. Ci furono sanguinose battaglie che portarono nel giro di breve anche a un'invasione da parte del l'Unione Sovietica. Che la storia si ripeta, come ci dice la canzone, lo sappiamo dal tragico ricordo degli attacchi e dei boicottaggi da parte russa negli anni Trenta. Fra il 1932 e il 1933, anche per punire una struttura latifondista che non rispettava i canoni della rivoluzione comunista, Joseph Stalin "organizzò" una carestia in Ucraina bloccando i flussi di derrate alimentari, di attrezzi per lavorare i campi, di concimi e sementi. Quella storia, che sembra lontanissima nel tempo e che raramente è stata rievocata durante la crisi dei nostri giorni, ha un nome: Holodomor. Fu un isolamento assoluto, un genocidio, che fece secondo stime recenti fra i 6 e gli 8 milioni di morti fra la popolazione ucraina. Oggi le truppe regolari ucraine bombardano Donetsk per debellare i ribelli filorussi armati da Mosca. Ma Kiev consente alle famigerate truppe d'azione irregolari Azov, di matrice neonazista, di partecipare ai combattimenti.

Anche per questo ci sono massicci convogli e 20mila truppe russe pronti ad "aiutare" l'Ucraina da un momento all'altro per "ragioni umanitarie". Il confronto è sfuggito di mano. Abbiamo guerra e orrori ai nostri confini, anzi "dentro" l'Europa. Nel 2012 noi cittadini europei abbiamo ricevuto il premio Nobel per la Pace per «aver contribuito all'avanzamento della pace, della riconciliazione, della democrazia e dei diritti umani in Europa». Oggi reagiamo alle violazioni del diritto internazionale con impotenti sanzioni economiche contro Mosca che potrebbe a sua volta minacciare di tagliare l'approvvigionamento energetico all'Europa. Non so se questa canzone e la storia della sua forte matrice multiculturale potranno affievolire il cinismo e le divisioni del nostro tempo. Ma so che la canzone di Seeger ha avuto una presa popolare mondiale ed è stata tradotta in molte lingue.

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