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Questo articolo è stato pubblicato il 21 settembre 2014 alle ore 08:15.

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Progettare col vetro è qualcosa di molto vicino all'uso delle nuove tecnologie: occorre sapere cosa chiedere al mezzo. È una perizia che ha bisogno di due figure, il designer o l'artista da un lato e il maestro vetraio dal l'altro, alleati e capaci di capirsi. È dal l'unione di queste competenze che nasce il modo moderno di un materiale tanto antico. Due iniziative stanno spiegando al mondo come funziona questo valzer a Murano: in termini di ricognizioni storiche, la serie di mostre presso «Le stanze del vetro» presso la Fondazione Cini di Venezia con l'organizzazione di Pentagram Stiftung. Dopo avere osservato la pratica di Carlo Scarpa e di Napoleone Martinuzzi, presenta ora l'attività dell'architetto milanese Tomaso Buzzi (1900-1981) sempre con la regia curatoriale di Marino Barovier. Per quanto attiene al presente e alle sperimentazioni di giovani artisti e designer, invece, è rilevante il progetto EGE (European Glass Experience) che nasce con la complicità del Museo del Vetro di Murano e la cura di Cornelia Lauf. La manifestazione è nata nel 2007 e sta giungendo al suo compimento ora, con una serie di mostre itineranti per l'Europa: prima tappa in Finlandia, seconda adesso in corso a Segovia, in Spagna (Fundaciòn Centro Nacional del Vidrio fino al 16 novembre), e in previsione molte altre sedi europee con l'intento di mettere a frutto il potenziale di idee che il vetro può ancora suscitare. In forme non sempre classiche e a volte paradossali, spinte verso la massima tensione e sopportazione del materiale, spesso completamente sganciate da qualsiasi tradizione ma, talvolta, in correlazione con le culture formali dei paesi di provenienza degli artisti: Austria, Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Inghilterra, Germania, Irlanda, Lituania, Olanda, Polonia, Ungheria tra gli altri.
La mostra di Buzzi espone invece un itinerario ormai classico ma imperdibile che riporta al "Novecento Milanese": quella stagione di vivace aggiornamento che, nonostante il fascismo, Milano vide nel corso degli anni Trenta. Buzzi, teorico per riviste come "Domus" oltre che amante del fare, ne fu un protagonista, insieme ad altri architetti come Giò Ponti e coloro che, insieme a lui, fondarono la società "il labirinto" per decorare grandi dimore nobili e alfoborghesi: il gusto che crearono allora è ancora capace di influenzarci. Grandi famiglie come i Cini, i Visconti e i Volpi chiesero a Buzzi di decorare i loro interni, come accade alla Villa Necchi Campiglio di Milano ora patrimonio del Fai, la villa palladiana Maser a Treviso, Palazzo Papadopoli e Palazzo Labia a Venezia.
Nei suoi vetri, composti quasi tutti in un paio d'anni passati in un intenso dibattito con Venini tra il 1932 e il 1933, si nota in particolare un andirivieni tra forme secche, precise, geometriche unite a colorazioni monocrome – anche se rese luccicanti dalle dorature – e momenti figurativi, per i quali un vaso è sostenuto da due mani simmetriche che si aprono come foglie o compare una corda tra le due bocche di una brocca. Il progetto si sposa con il capriccio e quest'ultimo non ha mai l'aria dell'episodio irrilevante.
Le serie si susseguono come omaggio a una classe oggi perduta, che mescolava nobiltà e borghesia imprenditoriale e che aveva bisogno che il decoro raccontasse una scala di valori e lo show off non del denaro, ma dell'intelligenza. In questo senso vanno letti i servizi che Buzzi preparò con Venini: quello di argento e cristallo, con un sostegno troncoconico che le muniva di solidità; quello turchese con decorazioni in filetti neri, connotato dalla forza del contrasto; quello di ambra, nero e oro, e soprattutto la lunga messa a punto dei vetri incamiciati, ovvero vasi e suppellettili in cui si susseguono fino a sette strati di vetro di pigmentazioni diverse; sapendo che, se le cotture non vengono adeguatamente calibrate, ogni strato può impazzire e comportarsi in maniera anomala. Virtuosismi che sfociano però in una sostanziale sobrietà, tranne in caso di capricci volontari come le gallinelle di filigrana e i tentativi di rinnovare la forma-lampada: applique, piantana, lampadario, senza ricorrere mai a modelli formali già desueti e scavalcando il settecento a piè pari. I riferimenti corrono semmai all'arte etrusca, a quella persiana e, per chi sappia collegare l'operato di Buzzi all'atmosfera artistica che si respirava a Milano negli anni Trenta, anche al rigore dell'astrattismo d'oltralpe e con un ponte di collegamento nel comasco.
Questi vetri, dunque, sono come edifici che associano la potenza di una forma assertiva alla grazia degli infissi, delle decorazioni, dei balconi dall'aspetto più narrativo. Risultati che non sarebbero stati possibili senza la capacità di trasferire agli esecutori materiali dei vetri il suo sapere progettuale. Quello che va recuperato oggi, in un'ottica in cui per aggiornamento si intende anche un contributo interculturale che accoglie e semina nel terreno di Murano contributi imprevisti, anche difficili da accettare, ma che si pongono come la sola maniera di dare continuità a un saper fare troppo spesso svenduto.
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«Tomaso Buzzi alla Venini», Venezia, Isola di San Giorgio Maggiore, fino all' 11 gennaio 2015. Catalogo Skira

appuntamenti culturali a san giorgio
Anche se appare circonfusa dall'armonia, dalla pace e dal silenzio immoto, tipico dei monasteri d'altri tempi , la Fondazione Giorgio Cini di Venezia è in realtà una modernissima "officina" culturale dove si lavora alacremente e a pieno ritmo tutti i giorni. Qui, quotidianamente, si studia, si scrive, si cataloga, si discute, si ascolta, si producono idee e conoscenze. Questo avviene generalmente a porte chiuse. Ma le porte della Fondazione Cini si spalancano spesso, e non solo in occasione di mostre attese e raffinate come quella recensita qui accanto, ma anche per dare modo al pubblico di conoscere periodicamente le attività di studio e di ricerca che si tengono in questi chiostri incantati.

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