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Questo articolo è stato pubblicato il 15 ottobre 2014 alle ore 11:39.
L'ultima modifica è del 15 ottobre 2014 alle ore 11:50.

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É ciò che ha sostenuto anche un grande filosofo inglese, Bernard Williams: se oggi vogliamo avere una filosofia all'altezza dei problemi morali che la gente si pone, dobbiamo tornare ai greci e alla domanda su «come vivere». Però sostiene anche un'altra tesi, su cui lei probabilmente non è d'accordo: il motivo per cui si dovrebbe tornare ai greci non è che la gente oggi riflette di meno, ma che, al contrario, riflette di più. Le scelte di vita - negli studi, nel lavoro, nella vita affettiva - non sono più date per scontate come nelle generazioni precedenti. Prima la vita dell'individuo era in ampia misura predeterminata. Oggi invece in qualunque tappa della vita si è costretti a prendere delle decisioni, a porsi appunto la domanda di Socrate: come devo vivere? «Purtroppo oggi si pensa con la categoria del particolare - sostiene Reale -. Si è dimenticata la visione tipica della Grecia che era l'intero. La problematica dell'intero è quella che ti dà la cornice dei problemi. Oggi molti partono dal particolare e con il particolare colloquiano. Ma il particolare non ha la cornice dell'universale. Il problema difficile per i giovani è quello di elevarsi a questo livello. Quello che mi preoccupa nei giovani oggi è che non affrontano i problemi legati a questa dimensione più elevata. A me pare che con tutte le soddisfazioni che l'uomo di oggi ha, anziché sentirsi pieno si sente vuoto. Perché emerge ciò che manca. Molti dicono che è la scoperta della sofferenza ciò da cui si scappa di più. Gadamer dice che i giovani si drogano per quello. Nell'ultimo libro della Repubblica si parla già di sofferenza e di scelta delle altre vite possibili. La scelta delle vite successive peggiori è fatta da anime che non hanno sofferto».

Ma così sembra proprio che ci allontaniamo dall'eudaimonia. «No. Tu attraverso la sofferenza cresci. Non è lei che diventa padrona, ma tu di quella e arriverai al sapere. Al sapere non si accede se non soffrendo. Non è la felicità banale o edonistica del piacere, ma quella dello spirito dell'uomo che è capace di essere sofferente anche dentro. La cultura scientifica di oggi ti insegna a fare cose, quella umanistica aveva un altro scopo. Ti insegnava a diventare uomo. Marco Aurelio diceva: “Quando al mattino ti svegli e sei stanco devi dire a te stesso: alzati per compiere il tuo mestiere di uomo”. Il messaggio della mia opera è questo: guarda che la scienza ti insegna tante cose ma non a fare il mestiere di uomo».

Oggi però, se lei ha ragione, i giovani non solo non studiano il mestiere per diventare uomini, ma a quanto pare non si iscrivono neppure alle facoltà scientifiche. «Ai giovani abbiamo dato tutto tranne la capacità di affrontare i problemi. Alcuni hanno capito per intuizione che dalla scienza non viene la soluzione dei problemi. Io adoravo la matematica. Passavo le vacanze a risolvere i problemi del libro di algebra. Che la scienza sia uno degli strumenti più potenti che l'uomo ha messo in atto è fuor di dubbio. I giovani devono usarla in “giusta misura”, come i greci insegnavano. Ma la scienza non risolve tutti i problemi. Di certo non quelli ultimativi, che oggi vanno riproposti». E crede che i filosofi possano risolverli? «Sì».

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