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Questo articolo è stato pubblicato il 19 ottobre 2014 alle ore 08:14.

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La Germania del 2003, in piena recessione con i suoi 5 milioni di disoccupati mentre il resto del mondo cresceva, oggi ha ridotto questo numero sotto i 3 milioni. La disoccupazione, che era al 12%, è a poco più del 5%, quella giovanile è sotto l'8, una cifra da miraggio per il resto d'Europa. In Italia le percentuali corrispondenti sono sopra l'11, oltre il doppio di quella tedesca, e il 40%, cinque volte tanto.
Il messaggio che viene da Berlino in tutte le discussioni europee è semplice: fate le riforme come le abbiamo fatte noi e guarirete dalla malattia. Quelle riforme si chiamano Agenda 2010 e Leggi Hartz e hanno inciso soprattutto sul mercato del lavoro. A farle fu il cancelliere socialdemocratico Gerhard Schroeder. Il suo partito non le ha ancora digerite del tutto. Provocarono una scissione, quella della Linke di Oskar Lafontaine, che condusse Schroeder alla sconfitta, seppure di misura, a favore di Angela Merkel. La quale alle ultime elezioni, nel settembre dello scorso anno, non si è fatta problemi a rivendicare i risultati delle riforme altrui e a incassarne il dividendo alle urne. Oltre a brandirle come una clava nel dibattitto europeo. Da allora, l'economia tedesca si è appannata, contraendosi nel secondo trimestre di quest'anno e ritrovandosi pericolosamente al limite della stagnazione anche nel terzo. Ma il mercato del lavoro, stando alle cifre ufficiali, resta florido. Delle riforme Hartz si è appena celebrato il decennale, anche se molte entrarono in vigore nel 2005.
Molti, anche in Germania, si chiedono oggi se fosse proprio il caso di celebrare. O se c'è un lato oscuro di questo "miracolo" tedesco, che induce a una certa cautela prima di proporne una replica altrove.
Un'inchiesta molto documentata della giornalista Patricia Szarvas, che si legge come un lungo reportage, ripercorre le tappe di quelle riforme, intervistandone tra l'altro molti dei protagonisti, attivi, come lo stesso Schroeder e altri membri del suo Governo, e passivi, come i detentori dei lavori a bassa retribuzione creati da quelle leggi, l'infermiera divorziata, la cameriera, la lavandaia. Non è una caso che molte siano donne: uno degli obiettivi delle riforme era di creare occupazione femminile (sulla quale la Germania resta nettamente indietro rispetto agli altri Paesi industriali), facendo emergere tra l'altro il lavoro nero.
Nel colloquio con l'autrice, l'ex cancelliere non sembra rimpiangere l'azione intrapresa anche se lo ha allontanato definitivamente dal potere. «L'effetto più importante dell'Agenda 2010 – afferma – è stato che la Germania ha dimostrato di saper fare le riforme. La Germania si è rimodernata negli ultimi dieci anni. Le riforme le hanno fatto bene». Schroeder sottolinea tra l'altro l'espansione degli impieghi a bassa retribuzione, che ha ridotto la disoccupazione e favorito il recupero di competitività dell'economia tedesca, con un controllo ferreo sui salari nominali (dal 1999 al 2010 i salari più bassi sono calati in termini reali, cioè al netto dell'inflazione, del 7,5%, mentre quelli più alti, e più protetti, dei lavoratori a tempo pieno sono aumentati del 25%), anche se ne lamenta l'abuso fatto dalle imprese che hanno sostituito lavori regolari con posti a tempo parziale o contratti a tempo. Schroeder parla genericamente della necessità di «riformare le riforme» o di fare l'Agenda 2020-2030, quando l'ultimo Governo Merkel, che ha nuovamente imbarcato i socialdemocratici in una grande coalizione, ha imboccato invece un'altra strada. Nessuna riforma strutturale aggiuntiva, ma il percorso più facile che è stato definito da molti una controriforma: la creazione del salario minimo. Un modo per mitigare, almeno per una parte dei lavoratori coinvolti, gli effetti delle riforme Hartz. Secondo i suoi critici, invece, che comprendono una fetta del partito della stessa signora Merkel, una minaccia per centinaia di migliaia di posti di lavoro.

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