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Questo articolo è stato pubblicato il 02 novembre 2014 alle ore 08:14.

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Il faccione barbuto di William Morris vi saluta all'ingresso. Forse non guarda direttamente voi: anzi, quel dipinto di George Frederick Watts del 1870 – l'unico che Morris autorizzò di sé –, è esattamente come lo descrisse W.B. Yeats (il poeta, Nobel 1923, che per primo diede "spirito" nuovo all'Irlanda), che se ne fece fare una copia che tenne sempre sulla mensola del caminetto: «sono gli occhi di una bestia sognante». Sì: Morris, in quella tela, sta guardando oltre, magari sta sognando, o pensando a quello che verrà dopo di lui, a quello che ha realizzato, a chi raccoglierà il suo seminato. Il suo sguardo, in ogni caso, oltrepassa il presente e il ritratto, per questo motivo, coglie alla perfezione il punto fondamentale della vita e dell'opera di Morris.
State entrando nella mostra che Fiona MacCarthy – biografa tra le migliori di Morris – ha curato e allestito alla National Portrait Gallery di Londra: «Anarchy & Beauty. William Morris and his Legacy 1860-1960». Due stanze, nemmeno troppo grandi, ma allestite con suprema intelligenza, equilibrio, efficacia estrema, che raccontano, con quantità di opere d'arte, oggetti, libri e finissimo artigianato (devo purtroppo usare questa parola) l'avventura umana, culturale, sociale, politica, intellettuale di Morris e il suo lascito – almeno quello più evidente, e soprattutto in terra inglese –, insomma la sua influenza fino alle porte dell'oggi. Forse dovrei dire il suo sogno.
Morris sfugge alle classificazioni. Inafferrabile, come lo sguardo in quel dipinto; forse perché fu tante cose, persino troppo per un uomo solo. Quando morì, serenamente, la mattina del 3 ottobre 1896, all'età di 62 anni, il suo medico ebbe a dire che la causa del decesso fu «semplicemente "essere" William Morris, e avere fatto più lavoro di quanto ne abbiano fatto dieci uomini». Iperbole o no, la dichiarazione è tuttavia precisa.
Personalità magnetica, esplosiva energia lavorativa e intellettuale, Topsy (così lo chiamavano gli amici) fu artista, poeta, uomo di molteplici sapienze artigianali e manuali (dalla tipografia all'intaglio del legno, dal design alla tessitura), politico, pensatore. Il suo fisico robusto poggiava su una straordinaria sensibilità d'animo, la sua passione per il Medioevo non gli impedì di essere in pieno contatto con il suo tempo – e, anzi, di viverlo e influenzarlo da protagonista –, il suo convinto socialismo non contraddisse mai l'ottimo senso degli affari (dall'azienda di fine mobilio che furoreggiò nella Londra dell'epoca alla Kelmscott Press, miraggio di bellezza per tutti i bibliofili, non sbagliò un'iniziativa imprenditoriale), le sue amicizie durevoli e dilaganti ne allargarono le vedute anche nei confronti del matrimonio e delle convenzioni sociali (sapeva della relazione della moglie con l'amico Dante Gabriel Rossetti; non la ostacolò, lasciò che si vivesse uno strano menage a trois, riservandosi anch'egli qualche avventura). Convenzioni sociali che non desiderava altro che rompere o migliorare: in questo senso l'uso della parola «anarchia» del titolo della mostra è delicato. Morris non teorizzava, né voleva, l'anarchia, che prevede il disconoscimento delle regole sociali; no: ribadì più volte di essere socialista non anarchico; di cercare progresso e cambiamento in direzioni ben precise. Leggendo le sue opere, poetiche e politiche, questo indirizzo è chiaro: tra i suoi ideali la possibilità dell'arte per tutti, la tensione continua verso il bello (questa sì che è parola azzeccata!), a iniziare dalla propria casa, l'amicizia fra gli uomini, senza badare alle classi sociali, l'interesse per il bene comune, il ritorno all'uso delle manualità e verso uno "sviluppo sostenibile" (la brutta espressione è odierna...) furono pilastri di una vita e un'opera piena di avvenimenti. E di contraddizioni. A nessuno sfugge che, per fare un esempio, i suoi arazzi o i suoi libri, pensati per essere di tutto il popolo, in realtà se li potevano permettere i ricchi o i borghesi. La sua copia del Capitale di Marx (esposta) è rilegata in marocchino e oro... Non era, però, se già state malignando, un radical chic ante litteram, come intenderemmo noi oggi: le cose che predicava le metteva in atto e, più di tutto, le sapeva fare. Sia detto a scanso di inutili equivoci.
Ecco: la mostra di Londra compendia in una densa esposizione che riunisce per la prima volta molti memorabilia del mondo morrisiano di solito sparsi per musei, tutte queste cose e serve, più che mai, a rimettere al centro – posto nel quale deve stare –, Morris nel pantheon dei più fecondi promotori culturali di sempre. Lo fa con una leggerezza natural, che sa unire il fatto di essere profondi (questo è sempre più spesso il pregio di chi le mostre le sa fare davvero e da queste parti sono capaci) senza essere noiosi. Passando in rassegna la sua vita iridescente: dalla tessera della sezione socialista di Hammersmith (il sobborgo londinese nel quale visse), allo stendardo di propaganda, dalla borsa a tracolla, esposta con i libelli politici, alle raffinate spille o i vasi o gli arredi di cui si circondava. E ci aggiunge, ovviamente, i suoi sodali, a partire dai soci del movimento preraffaellita prima e dell'Arts & Crafts poi: da Edward Burne Jones all'esiliato e discusso russo principe Kropotkin, da Walter Crane, geniale illustratore a Edward Carpenter, precursore dei diritti omosessuali e fondatore della moda dei sandali per gli intellò di sinistra (naturalmente i suoi ur-sandali sono in vetrina, né sorprende sapere che Carpenter fondò un'impresa di calzature indianeggianti...), da Eric Gill, sommo disegnatore tipografico (e preoccupante maniaco sessuale, presente infatti con un rullo in pietra per spianare il campo da tennis con inevitabile scena porno scolpita sui lati) fino alla leader delle suffraggette Sylvia Pankhurst. Un modo di pensare e agire realmente rivoluzionario, che tentava di "sovvertire" l'ordine ricorrendo alla bellezza e all'intelligenza più che alla forza, ma senza cedere di un millimetro sull'ambizioso programma di riforme. E, anche, forse, ingenua credenza e motivo per cui la sinistra perde regolarmente questa utopica battaglia – Toni Blair divenendo primo ministro disse che Morris era un suo eroe. (Ciò che non vuol dire che essa non debba essere combattuta).

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