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Questo articolo è stato pubblicato il 02 novembre 2014 alle ore 08:14.

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L'insegnamento di Morris culmina in una serie di esempi che attraversano il Novecento inglese (il Bauhaus ha direttissima discendenza dalle sue idee ma è assente dall'esposizione), documentati in mostra. Che so, il movimento del ritorno alla natura, dei City Garden, della preservazione dell'ambiente rurale che condurrà al National Trust, o, ancora, il design alla portata di tutti, esemplificato dal genio di Terence Conran con la sua sedia (i)conica. Si chiude con il manifesto, stupendo, di Abram Games per il Festival of Britain 1951. Una festa, un «tonico per la nazione» che usciva dalla guerra, e che riunì otto milioni di persone in un'estate al South Bank di Londra: fieri di rinascere, di aggregarsi intorno a nuovi valori, sensibili al meglio, dall'architettura al design, una nuova identità collettiva da condividere, puntando sul futuro senza gettare la tradizione: tecnologie d'avanguardia e cure meticolose per il giardino. Londra gettò lì le basi per essere, a breve, swinging. La curatrice Fiona MacCarthy spiega in esergo: «Arte e design oggi sono diffuse. Ma abbiamo nuove ansie e ritornano molte delle preoccupazioni care a Morris: l'abilità del saper fare, le risorse locali, le tradizioni vernacolari, il concepire l'arte come forza della società, capace di legare insieme persone che provengono da differenti nazionalità e background. Questa mostra non esplora solo la visione di William Morris ma cerca di suggerire i modi nei quali il suo pensiero radicale ancora oggi influenza il nostro modo di vivere». È questo il motivo di quel suo sguardo oltre il tempo. Era riuscito a fare della sua vita l'0pera d'arte complessiva alla quale mirava. Lasciando, tutto sommato, in eredità una sola cosa concreta: l'idea che il bello può esserci di guida. E che sta a noi, ciascuno di noi, inseguirlo.
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Anarchy & Beauty: William Morris and His Legacy, 1860-1960, curata da Fiona MacCarthy, National Portrait Gallery, Londra, fino all'11 gennaio 2015

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