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Questo articolo è stato pubblicato il 02 novembre 2014 alle ore 08:15.

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Il congresso che iniziò duecento anni fa a Vienna, il primo, grande congresso mondiale per la ridefinizione di Stati, popoli, confini, leggi, convivenza e regole globali, concludeva 25 anni di guerre europee scatenate dalla Rivoluzione francese e dalle reazione contro di essa. Un evento enorme, epocale che ebbe da subito, e ha tuttora, una pessima fama in Italia. Forse giustamente, dal nostro angolo visuale, perché un Paese che si avviava verso l'unificazione, verso la modernizzazione amministrativa e legale, venne ripiombato indietro, spezzettato, restituito a mediocri governanti, fossili del Settecento. Il Congresso di Vienna fermò tre grandi cospirazioni per unire l'Italia, ordite da ambienti militari milanesi, napoletani e piemontesi attorno al «sovrano-prigioniero» dell'Isola d'Elba, Napoleone, a re Gioacchino Murat, a Eugenio Beauharnais. Il congresso peccaminoso, tutto caroselli, balli notturni, candele, banchetti, alcove di sete e gioielli, e che aveva richiamato i musicisti e i teatranti di tutto il Continente tormentava il cardinale Ercole Consalvi come si legge nelle sue lettere al cardinale Pacca; relegava nelle anticamere messaggeri italici come il toscano Neri Corsini, il genovese Brignole Sale, i milanesi Fontanelli e Pino, i lucchesi, il piemontese Asinari di San Marzano. Gli italiani fuori dalla porta! Gli inviati di Murat – alleato di Metternich fino al febbraio 1815 – vengono rosolati a fuoco lento senza mai essere ammessi ai gruppi di lavoro che definivano il futuro di Germania, Svizzera e Italia, Polonia, fino a far saltare i nervi al grande guerriero.
Crollava in macerie un progetto di unificazione europea basato su un «sistema solare» franco-centrico, con Stati che venivano composti e ricomposti come in una continua scatola di montaggio costituzionale e amministrativa, ruotando gli stessi capi, ma aggregando nuovi ceti amministrativi, offrendo lavoro nell'esercito federale europeo a guida francese, distrutto dall'inverno russo del 1812.
A quella unificazione europea ne venne sostituita una diversa, a bassa intensità, basata sulle tradizioni, consapevole della storia, ma non priva di una grandezza costruttiva, con raggruppamenti di Stati, alcuni con sistemazioni provvisorie, altre definitive.
La forza dei fatti compiuti contò, ovviamente, ma non fu tutto. La Russia marciava verso il mar Nero e il Mediterraneo, voleva costruire un impero europeo e aveva portato i suoi soldati in Francia e, due volte, in Italia, occupando con 200mila uomini la Polonia. Il principe del Galles, reggente nel Regno Unito e Re di Hannover, aveva puntato sul controllo delle rotte marittime, con Malta e Gibilterra, Corfù e Lissa. L'Austria del fiorentino Francesco I si riprendeva l'Italia, antico retaggio del Sacro Romano Impero.
Il Congresso di Vienna fu il primo vero tentativo di un «nuovo ordine mondiale» basato su un sistema diffuso di costituzioni, certo non democratiche, ma nemmeno autoritarie, come nei due decenni francesi. Si tentò di costruire un percorso per l'unificazione tedesca, che inciampò sulla pretesa di Baviera e Wurttemberg di conservare una politica estera autonoma. Si misero le basi della neutralità e del modello confederale di una Svizzera che attendeva in armi, con la Dieta di Lucerna e la Dieta di Zurigo pronte alla guerra civile. Si ipotizzò, senza successo, la rinascita della Polonia come regno costituzionale, con lo zar come re. Si stabilirono regole. Si ridussero i microstati medievali. Si abbatterono le tradizioni di gilde e corporazioni, si favorì l'aristocrazia vecchia e nuova, si cercò di creare patti sociali tra i vecchi e i nuovi.
La questione italiana ci ha paralizzato nel guardare in faccia questo evento di portata secolare che, non solo ha disegnato o condizionato l'Europa fino alla fine dell'Ottocento, ma ha avuto anche una sua grandezza rispetto ai congressi che vennero dopo, quelli del Novecento. Come non vedere la saggezza di capi di Stato che vollero subito garantire una costituzione e l'integrità nazionale al Paese nemico, sconfitto e occupato militarmente, la Francia uscita dalla dittatura bonapartista? Francia che venne addirittura chiamata da protagonista a Vienna nella personalità straordinaria del fondatore della politica internazionale moderna, ovvero il principe di Périgord, Charles Maurice Talleyrand. Altro che l'umiliazione violenta e colpevole della Germania del 1918 con le riparazioni che seminarono le premesse velenose della Seconda guerra mondiale. Altro che smembramento territoriale e soppressione della sovranità degli sconfitti del 1945. Altro che umiliazione della Francia schiacciata a Sedan, nel 1870, con la proclamazione del Reich federale a Versailles nel 1871.
Rivalutare Vienna? Forse è necessario. Le cronache del congresso di Vienna appartengono ai momenti costruttivi della storia, ma anche all'intrigo, che si può ritrovare nei rapporti della polizia austriaca che seguiva Alessandro I zar di Russia ogni sera ai balli e anche nella camera da letto della principessa Bagration.
Vienna viene identificata con Clemens von Metternich. Eppure l'ombra più lunga è quella gettata da Talleyrand. Sette mesi prima, nella Parigi invasa da russi e prussiani, con stratagemmi da romanzo, il vecchio ministro di Napoleone, sorvegliato a vista, riuscì a contattare Luigi XVIII un attimo prima degli altri e, attraverso una spericolata missione segreta del barone di Vitrolles, riuscì a far saltare i negoziati degli alleati con Napoleone al tavolo delle trattative a Chalons sur Marne. Nelle stesse ore, creò le condizioni per un incontro riservato con lo zar appena giunto a Saint Denis alla guida delle truppe, convincendolo ad alloggiare a casa sua. Due giorni dopo, con il proclama del 1º aprile 1814, Alessandro I fa sue tutte le tesi di Talleyrand: prima tra tutte il ritorno dei Borbone, bilanciato dalla concessione di una costituzione, che lo stesso Talleyrand scrive in 3 giorni e fa approvare dal Senato! Questo fu il punto di partenza per i negoziati di Vienna.

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