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Questo articolo è stato pubblicato il 03 novembre 2014 alle ore 09:26.

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Arthur Young (1741-1820) era un agronomo e un agricoltore; possedeva una mezza dozzina di farms, tenute che gli rendevano pochi soldi eppure, in un'epoca in cui chi faceva il suo mestiere non aveva una vita sempre invidiabile, egli raggiunse uno straordinario successo nella sua lunga e singolare esistenza e divenne anche un notevole scrittore. Membro di una vecchia famiglia non molto facoltosa della gentry di provincia, da giovane lavorò anche come esperto agricolo presso qualche gran signore, guadagnandosi una vita comoda ma non lussuosa. Nel 1784 dette inizio ad una pubblicazione molto apprezzata nell'intero continente, gli Annals of Agriculture che ebbe la costanza e la fortuna di curare per vari decenni: più di quaranta volumi che ottennero l'ammirazione di Giorgio III, suo primo paladino e occasionale autore.

Il suo mestiere e le sue vastissime conoscenze resero Young famoso e gli consentirono di intraprendere lunghi viaggi che furono oggetto di vari volumi. Venne festeggiato ovunque, lodato con grande deferenza, consultato dai ricchi proprietari terrieri e dagli esponenti della nobiltà. Così accadde negli ultimi tre mesi del 1789 trascorsi nell'Italia del nord – da Torino a Venezia a Bologna per finire a Firenze. Esperienza pubblicata più volte col titolo di Travels in France & Italy.

Anno fatidico il 1789: il 14 luglio era stata presa la Bastiglia. Verso la fine di ottobre Torino era già piena di emigrati francesi quando Young vi giunse e fu costretto ad alloggiare al modesto ostello della Bonne Femme dove venne accolto con molta urbanità. Alla table d'hôte incontrò diversi rifugiati che erano stati scacciati da castelli in fiamme: le loro storie erano terribili. Young cercò di capire come tutto ciò potesse essere accaduto, contadini in rivolta, briganti? Gli venne detto che a fomentare i disordini erano stati invece i membri dell'Assemblea Nazionale guidati da un personaggio di altissimo rango sociale di cui non gli fu svelato il nome (Philippe Egalité?).

Torino gli apparve di grande incanto, tracciata con intelligenza geometrica a cerchi e semicerchi, ellissi e rettangoli che le conferivano un'aria di grandiosa magnificenza. Restò, come molti altri viaggiatori, assai impressionato dalla scala del castello accanto al Palazzo Reale, si riferiva a Palazzo Madama e allo scalone di Juvarra. A suo avviso nemmeno a Versailles si trovava nulla di simile con la sola eccezione, forse, della Grande Galerie. Riportò qualche opinione interessante sull'economia piemontese, lasciando un giudizio favorevole su Vittorio Amedeo III anche se non gli sembrava che il Re fosse circondato da persone di merito.

Interessato sempre al proprio mestiere, Young ricorda i membri della società agraria piemontese – il Marchese Pallavicino, i signori Bissatti e Capriata – capendo subito come nessuno di loro fosse un vero agricoltore, ciò che frenava il suo interesse. Young non era uno snob né un critico d'arte ma guardava bene coi propri occhi e così quando si recò a vedere il Palazzo Reale, un edificio che non gli apparve di particolare splendore, menzionò con ammirazione l'Apollo e Marsia di Guido Reni, una Venere di Carlo Cignani e il famoso dipinto con la donna malata di Gerard Dou. Comunque ciò che destò veramente la sua meraviglia furono i dipinti di Van Dyck: e si riferiva al ritratto dei figli di Carlo I e soprattutto a quello equestre del Principe Tommaso di Carignano – non si sbagliava, sono opere fra le migliori del maestro fiammingo.

L'agronomo non mancò di recarsi al “Castello di Windsor piemontese, Moncaglia” – Moncalieri cioè – dove approvò soprattutto le coltivazioni. Le tombe dei Savoia a Superga infine gli sembrarono più grandiose di quelle dei Borboni a Saint-Denis.

Tre sono le cose che lo incantarono in Lombardia: i teatri, i formaggi e le ville. A Milano scese all'Albergo del Pozzo dove lo attendeva l'Abate Amoretti, segretario della società patriottica. L'Abate viveva assai bene nel Palazzo del Marchese di Cusino: il suo appartamento era splendido come quelli in cui di solito viveva la nobiltà italiana. La stanza principale era di forma cubica e misurava trenta piedi per lato; il salone era della medesima forma ma assai più grande, di una cinquantina di piedi. Amoretti sembrava accompagnarlo ovunque. A Young piaceva la sua conversazione nutrita non solo da una singolare istruzione ma anche da un grande uso di mondo. Non aveva però – e qui si percepisce un senso dello humour molto inglese – ancora letto nulla di mano dell'Abate: se egli scrivesse male, pur vivendo in un appartamento così elegante non rispetterei la sua testa pur contando sul suo cuore. Un altro abate, l'astronomo Oriani, fu di aiuto ovunque al nostro uomo e una sera lo accompagnò ad un nobilissimo teatro, «il maggiore e il più bello che abbia mai visto; le scene e le decorazioni sono bellissime ed è quasi pieno anche se molti sono ancora in campagna. Come può arrivare a tanto una città come Milano? Nel teatro ci sono sei livelli, ognuno composto da trentasei palchi, ciò che è sorprendente per un luogo con poco commercio e senza grandi manifatture o industrie». L'agricoltore restò deliziato e felice di essere comodamente seduto in poltrone che sembravano divani dove si potevano stendere bene le gambe. Young non menzionò il luogo in cui si trovava, il Teatro della Scala, e nemmeno il nome dell'architetto, forse perché non lo conosceva, Ferdinando Piermarini, che aveva completato il suo lavoro solo un decennio prima. La Scala non fu il solo teatro a piacergli: a Lodi, a little insignificant place di appena diecimila abitanti, restò abbagliato dal Teatro dell'opera anche se dovette aspettare mezz'ora l'arrivo dell'Arciduca Ferdinando d'Austria e della consorte: tutto era illuminato con candele di cera, ogni cosa era elegante, tutti erano ben vestiti e le dame coperte di diamanti. L'edificio era stato ultimato non molto tempo prima, i palchi erano stati ammobiliati con grande sfarzo dai proprietari: un coup d'oeil meraviglioso. Ballerini, costumi, scene. Ne è deliziato e si lascia andare: «che burro, formaggio, acqua, trifoglio, mucche, siano in grado di insegnare a vivere a tutti i politici del nord dell'Europa!». Persino la più umile Codogno aveva un teatro d'opera inaugurato quello stesso 1789. Era più piccolo e meno decorato di quello di Lodi ma la forma era forse più piacevole e più comoda. Subito dopo elencava i teatri lombardi che includevano anche quelli di Crema e della vicina Piacenza. Anche a Codogno si recò a vedere una manifattura di formaggio: i contadini erano cordiali e molto ospitali.

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