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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2014 alle ore 14:17.

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Quale fu la storica posta in gioco che venne decisa, tutta insieme, in un breve tragitto dentro un'auto di Stato che correva, tra le 17.35 e le 17.50 del 9 novembre 1989, dal Palast der Republik di Berlino Est in direzione del Pressezentrum di Mohrenstrasse? Quel pomeriggio del 9 novembre, Guenther Schabowski sfogliò superficialmente i due fogli che gli aveva appena consegnato il suo amico Egon Krenz, da due settimane segretario generale della Sed (Partito socialista unificato di Germania). E arrivò impreparato alla conferenza stampa internazionale. La discussione al Politburo della Ddr era ancora in corso. Ma la decisione era presa: dal giorno dopo, 10 novembre, i cittadini della Germania comunista avrebbero avuto il permesso di viaggiare all'estero anche in Occidente, avrebbero ricevuto un passaporto, con una semplice richiesta, senza procedura. In preparazione di ciò, Krenz aveva dato ordine di non sparare alla Volkspolizei, contro eventuali fuggiaschi, già il 3 novembre. Era un tassello fondamentale in una strategia del regime traballante di distensione verso l'opinione pubblica interna, che chiedeva riforme e a Lipsia e Dresda manifestando da settimane, ogni lunedì. Mezzo milione di tedeschi dell'Est avevano protestato, compostamente, il 4 novembre ad Alexanderplatz, reclamando una riforma del socialismo, non la sua cancellazione. Schabowski non era un portavoce professionale, come fu evidente quel giorno. Burocrate, capo del partito di Berlino, aveva cospirato dalla fine di settembre con Krenz per esautorare il falco, il duro, l'irremovibile Erich Honecker, già malato di cancro, eroe antinazista, scampato alle prigioni della Gestapo, costruttore del Muro nel 1961, inflessibile oppositore di Gorbaciov, che alla riunione del patto di Varsavia di Bucarest il 7 e 8 luglio aveva cercato di provocare un intervento armato contro le riforme filo-occidentali in Ungheria. La storia è nota. Il portavoce giunse alla conferenza. Parlò per mezzora di questioni secondarie. Poco prima di andarsene, tirò fuori le due paginette di Krenz. Le lesse. I giornalisti, allibiti, capirono che le frontiere si aprivano. Che venivano concessi i diritti di viaggio e di espatrio in modo illimitato. Il corrispondente del l'Ansa, Riccardo Ehrman, seduto sulla pedana davanti al tavolo da conferenza, fece la domanda fatidica: da quando sarà in vigore? E il portavoce perduto lesse e rilesse i fogli, senza trovare una risposta precisa, si confuse e rispose balbettando «sofort», «ab sofort», ovvero, «immediatamente». Alle 19.17 i telegiornali di tutto il mondo diedero la notizia, la Zdf e la Ard aprirono i Tg con la incredibile novità, captate anche in Germania Est, informarono tutti i tedeschi. Centinaia di migliaia si assieparono ai varchi. Che, lasciati senza ordini, aprirono le porte.
Quale fu dunque la posta in gioco? Che cosa cambiò quell'errore nel corso della storia? Il Muro sarebbe rimasto in piedi, se il disgraziato portavoce avesse risposto correttamente? No. La riunificazione, la Wiedervereinigung di cui nessuno fino a quel giorno aveva mai parlato, sarebbe saltata? No certamente. E allora? Fu il popolo ad abbattere il Muro e tutto quello che c'era dietro. Non fu più il tassello di un processo di riforme.
Commesso l'errore, nessuno a Berlino, tranne il ministro della Stasi, la polizia segreta, Erich Mielke, si accorse della portata di ciò che era accaduto.
Carlo Azeglio Ciampi, allora governatore di Bankitalia, era a Berlino Est quella sera, ospite della Banca di Stato, e venne portato in tutta tranquillità al teatro dell'Opera dal primo banchiere della Ddr che era appena giunto dalla riunione del Politburo. Horst Kaminsky minimizzò quanto stava accadendo fuori dal teatro: abbiamo problemi, ma abbiamo un percorso di riforme per risolverli...
Fino all'11 novembre anche a Mosca pensarono di andare avanti tranquillamente sulle riforme politiche. Eppure, il gioco era fatto. Venne meno la possibilità di negoziare con Helmuth Kohl, di attuare un graduale piano che verrà presentato, il 17 novembre, da un leader comunista riformista ben più preparato di Krenz, ovvero il sindaco di Dresda, Hans Modrow: confederazione tra Ddr e Repubblica federale di Germania, unificazione graduale in 3-4 anni; apertura alla Comunità economica europea; riforma della proprietà pubblica dell'economia sul modello italiano dell'Iri e apertura al mercato con una valuta che si rivalutava a tappe; creazione di una proprietà privata accanto ai Konzerne riformati (Honecker aveva abolito le imprese private solo nel giugno 1971!). La prospettiva sarebbe stata la stessa, ovvero l'unificazione. Cosa avrebbe dunque comportato la possibilità di negoziare? Non lo sapremo mai. Il 7 febbraio il segretario di Stato James Baker vola a Mosca e ottiene segretamente da Gorbaciov il via libera per una Germania unificata nella Nato, e cioè non neutrale, prospettiva ancora possibile solo pochi giorni prima. Il cancelliere Helmut Kohl, sempre il 7 febbraio, apre a sorpresa la strada dell'unificazione monetaria, con la concessione di stipendi e risparmi a un cambio tra 1 a 1 e 1 a 2. La Ddr si era sbriciolata. Nessun margine di trattativa rimase a Modrow e a Christa Luft. La riunificazione venne attuata con l'articolo 23 della Grundgesetz (Legge fondamentale, ovvero costituzione provvisoria) come era accaduto per la riconsegna della Saar da parte francese nel 1857, e non sulla base dell'articolo 146 che prefigurava una nuova Costituzione (Verfassung) per la Germania riunificata.

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