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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2014 alle ore 14:17.

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Non sarà il solo, in questo viaggio, a sottolineare il carattere multiculturale e multireligioso di Sarajevo, che si respira anche solo camminando per la città, muovendosi da un quartiere all'altro. C'è però un luogo che lo incarna più degli altri ed è la biblioteca, incendiata e distrutta nel '92, riaperta lo scorso maggio dopo una lunga ristrutturazione costata 11 milioni di euro che l'ha fatta rivivere esattamente com'era, nei minimi dettagli, dai colori ai marmi, fino alle decorazioni. Un compimento della rinascita, per la città: oggi ospita il Consiglio Comunale, mentre i libri che si sono salvati – appena il 30% su un patrimonio di due milioni – sono custoditi all'Università Nazionale.
Prima di lasciare la capitale, vale la pena andare a visitare la sinagoga e sentire la testimonianza del direttore del museo ebraico, Mario Kabiljo. In città gli ebrei sono solo 700, e 1.200 in tutto il Paese, eppure hanno avuto il loro ruolo nell'aiutare la popolazione durante l'assedio, «prima di fuggire anche noi, perché non volevamo ripetere l'errore della II Guerra Mondiale. Temevamo un nuovo Olocausto». E anche questo, come "le rose di Sarajevo", cioè i buchi dipinti di resina rossa che s'incontrano d'improvviso per strada a indicare che lì era esplosa una granata e aveva ucciso qualcuno delle oltre 11.500 vittime, dà il senso di che cosa si sia vissuto in quegli anni.
La strada per Srebrenica, nella Repubblica Srpska, è di una bellezza arcaica, un paesaggio di boschi e specchi d'acqua che danno una sensazione di isolamento primitivo, lontano dalla nostra ordinarietà. Anche solo la musica di sottofondo nel pullman è in netto contrasto con quanto si offre ai nostri occhi. L'arrivo a Potocvari è disarmante, c'è lo scheletro del compound dell'Onu dove si possono vedere dei video che raccontano l'inspiegabile. Hasan Hasanovic´, 38 anni, è il responsabile del memoriale: è scampato al genocidio a differenza di suo padre e dei suoi fratelli. È lui che accoglie i visitatori, mostra i filmati, racconta della "marcia della morte" fino a Tuzla dei sopravvissuti. Con tono monocorde dice che «un tempo a Srebrenica abitavano 35mila persone, il 70% delle quali erano bosniaci musulmani, gli altri serbi: si viveva bene insieme, si lavorava nelle fabbriche e in due miniere, eravamo conosciuti per le nostre acque termali. Oggi siamo famosi solo per il memoriale». Si va via scossi e silenziosi. Ma anche, sul pullman che ci riporta in Italia, consapevoli che l'appello di Hatid-a – non dimenticare per non ripetere – ha lasciato il segno in questa gita scolastica memorabile.
eliana.dicaro@ilsole24ore.com
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l'iniziativa
L'associazione Lutva, a Pesaro, promuove il progetto «Popoli, incontri, identità. Bosnia: tra passato e futuro. Un viaggio al di là del mare», rivolto agli studenti di quarta superiore, la cui finalità è far conoscere gli eventi delle guerre balcaniche degli anni '90, così vicine e così dimenticate, e stimolare una riflessione sulla convivenza multiculturale. Il progetto parte prima della gita, con un percorso di apprendimento - attraverso letture, lezioni dedicate, film - sulla guerra dell'ex Jugoslavia e della Bosnia in particolare, in modo che i ragazzi arrivino al viaggio già preparati. Un momento importante è costituito dagli incontri sul posto con persone che hanno vissuto, a vario titolo, la guerra e offrono la loro testimonianza.

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