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Questo articolo è stato pubblicato il 30 novembre 2014 alle ore 16:59.

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In realtà si può dire benissimo. E si può dire attimino sia nel senso di «un breve arco di tempo» (dammi solo un attimino) sia nel senso traslato di «un poco» (ci vuole un attimino d'impegno). Si può, ma – almeno nel secondo caso – non è bello. E perché non è bello? Chi decide che cosa è bello e che cosa non lo è, nei fatti di lingua? Ecco: questo (e non «si può vs. non si può») è il modo giusto di porre la questione.

Il fatto è che la lingua non è il codice della strada: nessuno vi multerà se direte «basta un attimino di pazienza», o disfavo invece di disfacevo, o «possiamo andare a Roma, piuttosto che a Firenze, piuttosto che a Venezia»; e neppure se direte «spero che tutto vadi bene». Se però usate espressioni del genere in mezzo a persone che hanno studiato o in mezzo a persone che, pur non avendo studiato tanto, sono abituate a una conversazione decente, vi guarderanno con un po' d'imbarazzo (per voi) e di fastidio, ed è probabile che finiranno per non invitarvi alla prossima cena (in realtà, se dite vadi, come Fantozzi, e non siete un calciatore, nessuno v'inviterà neanche alla prima, di cena: non c'è bisogno di selezione, per selezionare).

Questo perché la lingua ha meno a che fare con la norma che con l'educazione. Dire attimino nel senso di «un poco» è un po' come mettersi le dita nel naso: non è un delitto, non fa male a nessuno, però vi crea il vuoto attorno. E ci risiamo. Perché?
Perché – per dirla in breve – sono quelle che in retorica si chiamerebbero sineddochi (la parte per il tutto): se dite attimino, o vadi, o vi mettete le dita nel naso, vuol dire che avete visto tanta tv al pomeriggio ma avete letto pochi libri, avete viaggiato poco e male e, soprattutto, vi manca quell'uso del mondo che vi rende delle persone frequentabili. O per dirla ancora più semplicemente: vi fareste cucire una giacca da un sarto che dice vadi e che si scaccola? E vi fareste operare da un chirurgo che si presenta dicendo «Bortoloni Giuseppe, ma mi chiami pure Beppe»? Ecco. Sono spie, e di solito sono spie che dicono la verità (NB: è vero che uno può benissimo decidere di dire attimino o di mettersi le dita nel naso fregandosene di quello che dicono gli altri: ma la verità è che gli zoticoni per scelta sono rari: eroici, anche, ma rari).

Di questo genere sono le osservazioni che Giuseppe Antonelli, uno dei nostri linguisti più intelligenti e collaboratore di lunga data di questo supplemento, ha raccolto nel volumetto Comunque anche Leopardi diceva le parolacce (Mondadori). Il titolo è po' fuorviante: perché leggendo s'impara, sì, che Leopardi adoperava anche per iscritto parolacce come coglione e fottuto, come facciamo tutti, e parlava delle donne come «queste bestie femminine», come facciamo tutti, ma s'imparano soprattutto cose che riguardano il buon uso della lingua italiana. Niente di rivoluzionario, dato che di bei libri che dicono cose chiare e sensate sull'italiano, che insegnano cosa dire/scrivere o non dire/scrivere non ne mancano: sullo scaffale accanto a me ho per esempio – e consiglio entrambi caldamente – l'eccellente Parlare l'italiano di Edoardo Lombardi Vallauri (il Mulino), e l'eccellentissimo Si dice o non si dice? di Aldo Gabrielli (questo è davvero uno di quei gioielli che tutti dovrebbero avere in casa: uscito per la prima volta quasi mezzo secolo fa, ristampato l'anno scorso da Hoepli, il libro mette insieme le risposte su questioni di lingua che Gabrielli dava ai lettori «di alcune riviste mondadoriane»). Il libro di Antonelli è più piccolo e più occasionale di quelli (sono per lo più articoli divulgativi rifusi insieme), ma è un bel libro, piacevole da leggere e pieno d'informazioni sull'italiano che parliamo e scriviamo oggi; soprattutto, è questa rarità: un libro quasi euforico sulla nostra lingua, perché non idealizza il passato, non inorridisce di fronte al presente e irride, giustamente, tutte le Teorie sulla Decadenza della Lingua che ci piace formulare per provare il brivido di sentirci in mezzo agli ultimi giorni dell'umanità: mentre l'umanità va avanti, noi no.

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