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Questo articolo è stato pubblicato il 14 dicembre 2014 alle ore 08:16.

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Il cinema a luci rosse è il sommerso per eccellenza della storia del cinema. Rimosso e condannato, un mondo a parte rispetto a quello del l'industria e dell'arte cinematografiche. Pochissimo se ne sa, ma a colmare la lacuna arriva un libro che definire esaustivo è poco: Luce rossa. La nascita e le prime fasi del cinema pornografico in Italia, un libro che porta l'acribia fino ai limiti dell'ossessione. Forse c'entra il fatto che il volume coniuga due proverbiali magnifiche ossessioni, l'erotica e la cinefila. Le fonti utilizzate sono varie, anche perché l'ambito dell'hard è filologicamente impervio quanto quello della letteratura medievale. Ristabilire l'editio princeps è difficile, tra film italiani cui venivano aggiunte scene di sesso per l'estero, film stranieri con aggiunte di scene hard spurie (capitò anche a Truffaut, per Mica scema la ragazza!), titoli fantasma sotto i quali venivano presentati in censura 5-6 film diversi, riedizioni fantasma, versioni pre-censurate per la censura (togliendo le scene di sesso per ottenere il visto, e poi riaggiungendole di nascosto nelle copie da mandare in sala); film un po' spinti con scene di sesso girate da controfigure magari all'insaputa degli attori eccetera eccetera. Nel volume, per un centinaio di titoli analizzati (ci si ferma al porno in pellicola, prima del video), viene dispiegata una batteria di interviste, ricerche su copioni originali, analisi delle copie di censura, verifiche all'anagrafe.
La storia del porno è vecchia quasi quanto il cinema stesso. La prima "serata nera" (così erano denominate le proiezioni clandestine di filmati erotici) è registrata dalle cronache a Reggio Emilia il 25 ottobre del 1901. L'affermazione del genere fa parte della storia del costume, con le vicende giudiziarie che vedevano protagonisti i vari pretori d'Italia, su tutti quello dell'Aquila, Bartolomei, detto «il Torquemada d'Abruzzo». A viso aperto partì ad esempio la sfida del cinema Embassy di Milano, che giunse a proiettare gratuitamente film senza visto di censura (salvo poi dover ricorrere a sua volta alla forza pubblica per disperdere la folla). Ma oltre alla magistratura, si ricordano anche violente contestazioni politiche, come quelle delle «compagne organizzate per il contropotere femminista», che la notte tra il 7 e l'8 dicembre 1979 danno fuoco a quattro cinema a luci rosse romani, senza far vittime. Ben più tragico il bilancio di un assalto di segno opposto, quello del gruppo neonazista Ludwig, che nell'83 dà fuoco a una sala di viale Monza a Milano uccidendo sei persone. Dopo il maxisequestro del 1982, svolto sulla base dei titoli (e infatti vi incappò anche l'incolpevole Amore senza fine di Zeffirelli), nel 1987 veniva sancita la legittimità delle sale per adulti in Italia. Sentenza che suonava ormai postuma: il mondo del porno si era infatti spostato verso il consumo domestico dei vhs (nel 1984, il 70% delle cassette vendute e noleggiate in Italia erano porno).
La tesi di fondo di Grattarola e Napoli è quella non di una continuità tra cinema «ufficiale» e mondo a luci rosse, ultimo «genere» del nostro cinema prima del trionfo della tv. Tra i nomi si ritrova infatti un continuo travaso dai piani bassi e infimi di Cinecittà al mondo del porno, ultima Thule di Cinecittà. Dal «regista-medium» Demofilo Fidani agli anziani Marino Girolami e Roberto Bianchi Montero, autore di sceneggiate filmate e di un film con Boris Karloff. Per non parlare di Aristide Massaccesi, ritenuto il fondatore della produzione nostrana con Sesso nero (1980). Tra i musicisti troviamo Nico Fidenco o Stelvio Cipriani, e tra gli attori ci sono nomi che è possibile vedere nei film di genere (come Roland Carey, già protagonista di I giganti della Tessaglia di Riccardo Freda, passato all'hard e finito poi in in Film rosso di Kieslowski).
In questo ambiente sempre un po' sordido si stacca il leggendario Lasse Braun (vero nome Alberto Ferro), cosciente pioniere della pornografia libertaria, figlio di un diplomatico e «precocissimo erotomane» che utilizza l'auto diplomatica del padre per fare contrabbando di pellicole porno, diventando poi distributore e produttore. Sullo stesso versante libertario si possono inserire Francoise Perro, co-fondatrice del mitico «Il Male», e poi hardista pro tempore. Alberto Cavallone, sull'onda di un cinema nutrito di echi visionari e surrealisti realizza l'inclassificabile Blue Movie e un paio di hard firmati con lo pseudonimo di seconda mano Baron Corvo. Di Elo Pannacciò (maestro del riciclaggio, nel senso che con le riprese di un film ne montava 4-5) si diceva che fosse tra i produttori di Ladri di biciclette. E c'è anche una regista donna, Giuliana Gamba, autrice di un paio di titoli che godono di una certa considerazione.
La prosa dei due autori poi crea un cortocircuito, mossa quasi sempre su un registro altissimo, barocco: Massaccesi gira riparandosi «sotto l'usbergo dello pseudonimo Alexandre Borsky», le trame mostrano «una piccola comunità muliebre in balia di un pugno di scellerati evasi», o un «affollato groviglio orgiastico pentagonale», le attrici sono «la sdutta Napolitano/Goren», o inversamente «l'opima olandese» Pauline Trescher.
Le storie, a volte avventurose oltre i limiti dell'incredibile, sembrano inventate da Perec o Bolano. Claudio Perone, trasteverino arruolato nella Legione Straniera, incontra nel Sahara uno steward che sta per essere passato per le armi dai Tuareg: i due diventano soci e girano I porno amori di Eva e L'ipotalamo. Secondo Renato Polselli, il finanziatore di Marina e la sua bestia n. 2 era un rabbino libico. Fino a episodi degni di Brancati, come quello del signore catanese che, coinvolto dal bidello di una scuola media in un hard improvvisato, e rimasto inerte al momento decisivo, vede la propria défaillance comunque immortalata, ed esposta al dileggio del cinema Trinacria.

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