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Questo articolo è stato pubblicato il 14 dicembre 2014 alle ore 08:16.
L'ultima modifica è del 17 dicembre 2014 alle ore 11:41.

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Georges Perec in una sfida a go a Moulin d’Andé, nellagosto 1969, l’anno in cui uscì il suo volume sul giocoGeorges Perec in una sfida a go a Moulin d’Andé, nellagosto 1969, l’anno in cui uscì il suo volume sul gioco

Il go, come il linguaggio, è un gioco basato su poche regole, ma non basta conoscerle a memoria per saperci giocare. L'esperienza, la sensibilità – anche percettiva –, la conoscenza di sé, il controllo delle emozioni, sono elementi decisivi.

Per questa ragione Perec e i suoi amici – oltre al fatto che si erano stufati di dover giocare solo tra loro e avrebbero voluto trovare nuovi giocatori – ritennero di compiere una “mossa” culturalmente fondamentale importando il go, e tutta la sapienza in esso contenuta, in Francia. A Perec il suo maestro disse che però, anche se avesse giocato due ore al giorno per tutta la vita, sarebbe riuscito a stento a diventare un giocatore men che mediocre, motivo per cui decise di arrendersi. Ma lui continuò a giocare a modo suo: infatti «esiste una sola attività cui si possa ragionevolmente accostare al go. Lo avrete capito, è la scrittura».

Georges Perec, Pierre Lusson, Jacques Roubaud, Breve trattato sulla sottile arte del go, con un'intervista a Georges Perec, postfazione di Tiziana Zita, a cura di Martina Cardelli, Quodlibet, Macerata, pagg. 180, € 15,00

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