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Malick gioca male la sua carta: accoglienza fredda per «Knight of…

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Malick gioca male la sua carta: accoglienza fredda per «Knight of Cups»

A Berlino è il giorno di Terrence Malick: il grande regista americano ha portato in concorso «Knight of Cups», uno dei film più attesi dell'intera kermesse tedesca. Le aspettative, però, non sono state ripagate e alla pellicola è stata riservata un'accoglienza tutt'altro che calorosa. La trama ruota attorno a Rick, un uomo schiavo del sistema hollywoodiano, delle luci dei riflettori e del successo. Allo stesso tempo, però, è alla ricerca di qualcosa di più autentico, reale e capace di risvegliare in lui sentimenti troppo a lungo soffocati.

Il titolo fa riferimento alla carta del “cavaliere di coppe” e l'intero lungometraggio è strutturato in capitoli che richiamano i tarocchi. Di magia, però, ce n'è davvero poca e la narrazione è macchinosa, confusa, incapace di coinvolgere come il regista avrebbe voluto. Il risultato è un film-flusso di coscienza, vuoto e incoerente, che prova a nascondere (senza riuscirci) tutti i suoi limiti dietro un bombardamento visivo incessante: la fotografia è del bravo Emmanuel Lubezki ma i suoi notevoli giochi di luce questa volta non bastano.

Malick lavora di maniera e si appoggia totalmente allo stile messo in scena nello splendido «The Tree of Life», senza riuscire però a ripeterne l'exploit. Ricco cast, del tutto sprecato: il protagonista è Christian Bale e poi, tra i tanti, si alternano per pochi minuti Cate Blanchett, Natalie Portman, Antonio Banderas e Imogen Poots. Fuori concorso, invece, è stato presentato «Mr. Holmes» di Bill Condon. Ian McKellen interpreta il celebre detective inventato da Sir Arthur Conan Doyle: ormai anziano, Sherlock Holmes vive in una tenuta di campagna, coltiva il suo hobby di apicoltore e lo sta trasmettendo al piccolo Roger, il figlio della padrona di casa. Avrà ancora tempo, però, per risolvere qualche mistero.

Prodotto dalla Bbc, è un film che mostra un'immagine inedita del noto investigatore. Holmes va al cinema per vedere come sono state rappresentate le sue avventure e scuote la testa: non ha mai portato quel buffo cappello e alla pipa preferisce un buon sigaro, come spiega lui stesso. Il ritratto del personaggio, ormai sul finire della vita, è molto interessante e McKellen è stata una scelta azzeccata. Peccato, però, che l'andamento sia piuttosto altalenate e la messinscena un po' televisiva. In ogni caso, per Bill Condon è un piccolo passo avanti rispetto agli ultimi lungometraggi da lui diretti: i due episodi conclusivi della saga di «Twilight» e il mediocre «Il quinto potere».

Infine, da segnalare che nella competizione principale ha trovato spazio «The Pearl Button» del cileno Patricio Guzmán. È un documentario che parla della “voce dell'acqua”, della memoria dei mari e di come gli oceani portino con sé l'intera storia umana. Sono queste le premesse di un prodotto curioso, in cui l'attenzione si sposta presto sulla conformazione geografica del Cile e sulla sua storia (della Patagonia in particolare). Ma le tematiche affrontate sono troppe e il regista fatica a dare al suo lungometraggio una coerenza narrativa degna di tale nome. Alcuni passaggi contornati da immagini suggestive finiscono per perdersi in un insieme di concetti differenti (e un po' fumosi) che provocano una graduale perdita d'interesse nello spettatore.

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