Cultura

Che figura, la Commedia!

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Che figura, la Commedia!

La scoperta della scrittura, e poi della stampa, furono grandi rivoluzioni: non si trattava di semplici strumenti, ma di realtà, di esperienze nuove che avrebbero profondamente trasformato la mente stessa di chi li usava. Ce lo hanno insegnato, in anni ormai molto lontani, studiosi come Marshall McLuhan e Walter Ong; oggi noi siamo in grado di valutare con chiarezza i limiti dei loro studi ma anche la prontezza dell'intuizione e la loro sostanziale capacità profetica.

I nuovi strumenti di comunicazione non segnarono tuttavia una cesura netta: il fascino del manoscritto, e del manoscritto miniato in primo luogo, dura a lungo, anche nell'età della stampa, fino a interagire con il libro stampato: note di lettura si dispongono per secoli ai margini della pagina stampata, turbando e arricchendo il suo carattere ordinato e riproducibile, e dandoci nello stesso tempo la possibilità di spiare dal vivo la ricezione individuale del testo. Ma, soprattutto nei primi secoli, sono i capilettera miniati e le immagini dipinte a intervenire negli spazi della pagina stampata, così da importare nel mondo della nuova tecnologia il fascino unico e raro del manoscritto prezioso, quello che aveva costituito il tesoro delle biblioteche principesche e delle grandi biblioteche private.

Uno splendido esempio ce lo fornisce un incunabolo della Commedia, stampato a Venezia il 18 novembre 1491, insieme con il fortunato commento di Cristoforo Landino; l'esemplare oggi custodito presso la casa di Dante in Roma presenta numerose postille manoscritte, in volgare e in latino, ed è arricchito da più di 400 miniature a colori. Lo si può ora ammirare nell'elegante facsimile pubblicato dalla Salerno Editrice, nell'ambito della Edizione nazionale dei commenti danteschi. Le postille dialogano con il commento di Cristoforo Landino, in un rapporto molto libero, che prevede il consenso e la lode, ma anche la critica aperta: «gran coionaria è questa di lo comentator – leggiamo a un certo punto – a reprender il poeta che dica mal di la sua patria tegnosa». Ma chi era l'autore di questa nota irriverente, così polemica contro la partigianeria fiorentina del Landino? Mettere a fuoco la sua identità ha comportato risolvere un vero e proprio giallo filologico e, insieme, arricchire la nostra conoscenza della «geografia e storia» della fortuna di Dante tra Quattro e Cinquecento.

Il commento del Landino, si legge nel colophon dell'incunabolo, è «emendato per maestro Piero da Fighino dell'ordine de frati minori». Le ipotesi su questo sconosciuto francescano si sono susseguite, e la questione era tanto più rilevante perché gli venivano attribuite sia le postille che le miniature. Una svolta, con uno spettacolare colpo di scena, si è avuta con le ricerche di Giuseppe Frasso e Giordana Mariani Canova. Ne risultava del tutto ridimensionato l'apporto di “maestro Piero”, che si era limitato a rivedere il testo a stampa, mentre compariva sulla scena, da protagonista, un nuovo, interessante personaggio: Antonio Grifo, esule da Venezia, poeta ben inserito nelle corti settentrionali, che fra il 1494 e il '96 leggeva e commentava Dante, con grande successo, alla corte di Ludovico il Moro. A lui sono ora attribuite le annotazioni e le miniature dell'incunabolo dantesco, sulla linea di un'altra simile impresa da lui compiuta, e cioè appunto le postille e le illustrazioni con cui decora l'incunabolo petrarchesco del 1470 conservato nella Biblioteca civica Queriniana di Brescia. Si capisce allora la coloritura settentrionale della lingua, e anche il rapporto a volte polemico con Cristoforo Landino, toscano come toscano era il misterioso revisore, quel «maestro Piero da Fighino» al quale Celestino Piana ha dato un volto e un'identità: si tratta con ogni probabilità del francescano Pietro Mazzanti, un teologo legato a Lorenzo de' Medici. Ora che i diversi protagonisti dell'operazione hanno un nome e una precisa collocazione geografica, possiamo goderci ancor meglio questo splendido incunabolo miniato, in cui parole e immagini costruiscono, sul testo dantesco, una molteplicità di prospettive. Come abbiamo già notato, le postille dialogano, a volte polemicamente, con l'imponente commento del Landino, che inseriva Dante nel cuore della tradizione culturale fiorentina e ne suggeriva una lettura in chiave neoplatonica.

Ma ancora più complesso è il rapporto che le miniature intrattengono con il testo a stampa, in particolare con le immagini - 100 incisioni in legno- di cui l'incunabolo era dotato. Sembra di assistere a una specie di corpo a corpo fra il miniatore e l'illustrazione stampata: non soltanto la xilografia viene dipinta, ma a volte nuove immagini vengono applicate sopra le xilografie, quasi a sottolineare il trionfo dell'apporto individuale, della mano del miniatore. Il quale del resto si firma, a c.236r, in corrispondenza con la prima pagina del Paradiso, attraverso l'immagine del grifone: un autoritratto allusivo e emblematico, che colloca il postillatore poeta accanto a Dante e Beatrice sulla soglia dell'empireo. E crea un segreto legame con la spettacolare scenografia delle immagini che, nei canti XXIX e XXXII del Purgatorio, celebrano il trionfo del grifone, simbolo della duplice natura del Cristo. È uno splendido, vivace commento figurato, quello che si dispiega sotto i nostri occhi, ricco di eleganti capilettera, di fregi floreali e faunistici, di figurine ornamentali, e soprattutto rivolto a parlare al cuore e alla mente del pubblico cortigiano cui è indirizzato. Prevale il gusto per le armi, gli amori, le audaci imprese, per le fantasie mostruose ispirate dalle creature che popolano l'Inferno. La corte si rispecchia, attraverso le immagini, nelle eroine e negli eroi antichi, nei guerrieri che hanno combattuto per la fede, e tale rispecchiamento è agevolato da una particolare attenzione alla moda: nel cielo di Marte i paladini di Francia appaiono vestiti alla «fogia franzosa», come sottolinea una scritta, e anche Tristano, nel V canto dell'Inferno, indossa un «habito novo». L'eleganza, il culto degli ideali cavallereschi, la rêverie erotica, si nutrono dell'esperienza contemporanea e convivono con l'omaggio politico alla famiglia Sanseverino, protettrice del Grifo.

Ma la di là delle infinite suggestioni legate al gusto e alla cultura delle corti nordiche fra la fine del Quattrocento e l'inizio del nuovo secolo, possiamo semplicemente ripercorrere i fogli abbandonandoci al fascino delle immagini, al sofisticato gioco illusionistico che esse creano nei confronti stessi della pagina stampata: a cominciare dalla carta 11r, dove inizia il poema e la pagina stampata viene ridisegnata così da apparire come un foglio un po' stracciato, dai margini smangiati e arrotolati; in basso Orfeo che incanta le fiere rievoca l'antichissima origine della poesia ricordata dal Landino nel suo commento, ma suggerisce forse anche la capacità che la poesia ha di vincere, o almeno di incantare le fiere che ostacolano il cammino del pellegrino.
Comedia di Dante con figure dipinte. Facsimile dell'incunabolo veneziano del 1491 nell'esemplare della casa di Dante a Roma, Salerno , Roma, pagg. 650, info: www.salernoeditrice.it

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