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Questo articolo è stato pubblicato il 17 maggio 2015 alle ore 08:14.

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Agranov, Alievskij, Rybkin: altissimi funzionari dell’Ogpu, accorsi dai loro uffici alla Lubjanka. Tutta quella gente in undici metri quadri... Avranno fatto acrobazie per evitare il cadavere steso sul pavimento «come crocefisso», le braccia spalancate. Forse qualcuno è inciampato nel suo corpo, ha dovuto superare con un saltello le braccia, le gambe. Anche da morto Majakovskij è ingombrante.

Ore 11.30. Terminato il sopralluogo e l’esame esterno del cadavere, Sinjov, inquirente della Polizia moscovita, trentanovesima Sezione, e il medico legale Rjasencev, compilano il verbale e lo fanno sottoscrivere da due testimoni: «La stanza è di circa 3 sagene [1 sagena = 2,134 metri] quadrate ... Tra il tavolo e lo scaffale si trova un bauletto che prima del nostro arrivo è stato sigillato dagli organi dell’Ogpu... Al centro della stanza è steso supino il cadavere di Majakovskij, con la testa rivolta verso la porta… Sul torace, 3 centimetri sopra il capezzolo sinistro, c’è una ferita di forma rotonda, dal diametro di circa due terzi di centimetro... Il cadavere indossa una camicia di colore giallastro con una cravatta nera (a farfalla)».

Una camicia di un pallido giallo rosato, ultima metamorfosi della sgargiante blusa gialla cucita con tre metri di tramonto che il giovane poeta cubofuturista amava sfoggiare quando andava su e giù, «il sole come monocolo nell’occhio», per il Nevskij Prospekt del mondo. Blusa-corazza: «imbacuccata nella blusa gialla / l’anima è libera da controlli». Poi nella vita di Majakovskij è entrata, imperiosa, Lili Brik: via gli abiti da giullare, solo cravatte e non fusciacche o nastri, tagliare i capelli, curare quegli orribili denti marci... Il guardaroba del poeta si è arricchito di un paltò inglese.

«Nell’arma non è stata rinvenuta nessuna pallottola. A sinistra del cadavere, alla distanza di un metro dal tronco, c’è il bossolo vuoto di una Mauser. Il cadavere di Majakovskij è stato spostato sul divano per le fotografie».

Ore 11.50 . Sorretta dal vicedirettore del Mchat, Veronika Polonskaja sale faticosamente le scale fino alla kommunalka da cui è fuggita un’ora e mezza prima. Viene interrogata nell’appartamento n. 12 dall’inquirente Ivan Syrcov, della Procuratura provinciale moscovita. Depone:

«Circa un anno fa... all’ippodromo di Mosca, il cittadino Osip Brik mi presentò il cittadino Majakovskij… Da quando l’ho conosciuto non sono mai stata in rapporti sessuali con Majakovskij, anche se lui insisteva, ma io non volevo. La causa del suo suicidio mi è ignota, ma bisogna ritenere che sia stata soprattutto il mio rifiuto di ricambiare il suo amore, come anche l’insuccesso di Banja e, in genere, il fatto che era malato. Non mi ha mai parlato di suicidio, si lamentava soltanto del suo stato d’animo, e diceva che non sapeva che cosa sarebbe stato di lui, perché nella vita non vedeva nulla che potesse rallegrarlo».

Ore 12.15 circa. Il cadavere viene adagiato su una barella, il volto coperto da una pezza nera. I portantini stentano a farsi strada lungo le scale già affollate: inquilini dell’edificio, giornalisti, curiosi, ma anche amici e conoscenti del poeta, «schiacciati contro le pareti dalla forza centripeta dell’evento».

Ore 19.00. Dal sipario chiuso del teatro dove sta per andare in scena Banja esce Feliks Kon:

«Egregi compagni! Devo mettervi a parte di una triste notizia... Stamattina Majakovskij si è tolto la vita. Non è questa la sede per stigmatizzare il suo gesto». (Non ha torto: già redarguito e condannato in altra sede, Majakovskij ora si lamenta da uno dei «rami nodosi e ’nvolti» dell’Inferno – secondo girone, settimo cerchio). E di lì a tre giorni un altro rappresentante della vecchia guardia rivoluzionaria, Béla Kun, scriverà della «stupida, pusillanime» morte del poeta, «minaccioso esempio» per chi subordina alla Grande Causa i propri meschini sentimenti.

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