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«Spotlight» di Tom McCarthy scuote la Mostra di Venezia

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LA MOSTRA DEL CINEMA

«Spotlight» di Tom McCarthy scuote la Mostra di Venezia

La Mostra di Venezia si riscatta: dopo la deludente apertura di «Everest», la kermesse lagunare ha vissuto una giornata particolarmente positiva, grazie a «Spotlight» di Tom McCarthy e a «Beasts of No Nation» di Cary Fukunaga.

Inserito fuori concorso (ma avrebbe fatto un'ottima figura anche all'interno della competizione principale), «Spotlight» prende il nome dal team di reporter del Boston Globe promotore della celebre inchiesta che ha messo a nudo gli abusi della Chiesa cattolica nella città americana: un'indagine, premiata con il Pulitzer, che ha puntato il dito contro l'arcivescovo Bernard Francis Law, accusato di aver coperto molteplici casi di pedofilia avvenuti in diverse parrocchie.

Una storia vera, dura e scottante, trasposta sul grande schermo in maniera efficace e rigorosa: più bravo come sceneggiatore che come regista, McCarthy (coadiuvato nella scrittura da Josh Singer) costruisce un copione a orologeria, impeccabile nel ritmo e nella scelta delle battute, pronunciate da un team di attori in grandissima forma (da Michael Keaton a Mark Ruffalo).

Con un respiro che ricorda alcuni lungometraggi degli anni Settanta (difficile non farsi venire in mente «Tutti gli uomini del presidente» di Alan J. Pakula), «Spotlight» colpisce anche per la tensione crescente che riesce a trasmettere allo spettatore e per una conclusione notevolissima. Da vedere.

Altrettanto interessante è, in concorso, «Beasts of No Nation» di Cary Fukunaga, drammatica storia di un bambino africano strappato alla sua famiglia e costretto a combattere nella guerra civile del suo paese.

Tratto dal noto romanzo dell'autore nigeriano Uzodinma Iweala, il film è un anticonvenzionale racconto di formazione, duro e concitato, in grado di scuotere e far riflettere.

Funukaga (regista della prima stagione di «True Detective») conferma di saperci fare, ha un grande talento visivo e riesce a regalare alcuni spunti tutt'altro che banali.
Potentissimo nella prima parte, il film cala leggermente alla distanza (il finale non è un granché), ma si può comunque essere soddisfatti per la forza simbolica di alcune sequenze (la danza dei soldati insieme al loro comandante) e per l'approfondita scrittura dei personaggi.
Grande prova di Idris Elba, ma anche il giovanissimo protagonista Abraham Attah non è da meno.

Deludente è, invece, l'australiano «Looking for Grace» di Sue Brooks, presentato in concorso.
Protagonista è una sedicenne che scappa di casa: i suoi genitori si mettono in viaggio per ritrovarla insieme a un bizzarro investigatore in pensione.
Diviso in capitoli che seguono i diversi punti di vista dei personaggi, è un film dalla struttura ormai canonica, che non sorprende e, anzi, finisce presto per girare a vuoto, privo di vere idee degne di nota.
Irritante la commistione dei registri in cui si alternano toni inutilmente grotteschi ad altri eccessivamente melodrammatici. Insulso.

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