Cultura

A San Sebastián, dove la cultura è riconciliazione

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capitale europea 2016

A San Sebastián, dove la cultura è riconciliazione

Chi pensa che San Sebastián sia una città sul mare, ne ha un'idea riduttiva. A Donostia (il nome basco: la doppia dicitura è per ogni cosa, lo s'impara in fretta) è il mare che entra nella città, con impeto, quasi con violenza. Quando si arriva alla Concha, il lungomare a forma di conchiglia appunto, gli occhi non si staccano dallo spettacolo dell'oceano in tumulto, con il rumore sordo e incessante delle onde solcate da surfisti che le sfidano anche sotto la pioggia battente.

San Sebastián è stata nominata capitale europea della cultura, un titolo che si condensa nella sigla DSS2016 sparsa ovunque nei vari angoli della città, tra sedi istituzionali, musei, teatri. Certamente non hanno contato, per la vittoria, solo la natura unica della baia, l'eleganza dei palazzi che si mostra appena ci si addentra nella parte vecchia, lo stile a tratti francese dell'architettura, l'incomparabile qualità e tradizione della cucina basca, la pulizia e un certo ordine che si notano immediatamente rispetto ad altre città spagnole, l'orgoglio della propria storia e identità. Tutto questo, che pure si riscontra a prima vista, è la base ma non è motivo sufficiente, c'è qualcosa che ha spinto San Sebastián sul podio nel 2011 contro Saragozza, Segovia, Burgos, Cordova e Las Palmas.

Pablo Berástegui, il direttore del progetto, 47 anni, lo spiega nella sede della fondazione, tra ragazzi che vanno e vengono, interni in legno e colori sgargianti, un'aria di rinnovamento vagamente berlinese. «La nostra proposta era la più innovativa e al tempo stesso quella che più rispondeva ai criteri delle origini fissati da Melina Merkouri, il ministro della Cultura greco che nel 1985 lanciò l'iniziativa europea delle capitali culturali. Abbiamo visto nella cultura un mezzo di coesione per una società spaccata e ferita dalla violenza e dal terrorismo: l'obiettivo era riconciliare, riunire attraverso l'arte, mediante un linguaggio comune. Un'idea che poteva diventare un modello a livello europeo. Non c'interessano, o comunque non sono prioritarie nel programma, nuove costruzioni, infrastrutture, musei».

Una dimensione dunque puramente concettuale, e politica, cui i cittadini devono aver mostrato sensibilità. Nella lunga stagione dell'Eta sono state uccise più di 800 persone, centinaia ne sono state incarcerate, e ancora oggi in piazza della Constitución compaiono sulla facciata dei palazzi delle bandiere con la scritta «Euskal presoak eta iheslariak etxera» («Prigionieri baschi e rifugiati a casa»), con riferimento ai detenuti sparsi in vari penitenziari della Spagna e a chi è scappato oltreconfine per sottrarsi alla galera. «Non è stato facile, in realtà», commenta Berástegui. «Una volta finita l'èra della violenza c'è stato un sollievo generale. Quando San Sebastián ha vinto il titolo (il 28 giugno 2011, ndr) l'Eta era agli sgoccioli, quattro mesi dopo ha dichiarato il cessate il fuoco. È chiaro che da quel momento è prevalsa la voglia di dimenticare e voltare pagina. Ci siamo trovati in una posizione scomoda, noi che avevamo cominciato il nostro percorso ben prima ed eravamo convinti della necessità di una riflessione, di costruire un futuro di coesistenza tutti assieme. Del resto il fatto che DSS2016 sia il prodotto di tre sindaci di altrettanti partiti – un socialista, un indipendentista e l'attuale, un nazionalista moderato – che si sono susseguiti nel tempo, è la dimostrazione esplicita che il dialogo non solo è possibile ma è vincente».
La quotidianità dei 185mila abitanti della città, dunque, non è stata stravolta dall'arrivo di grandi band o di imponenti produzioni artistiche (come i più diffidenti temevano). La gente viene coinvolta in workshop e attività che rispondano alla filosofia del progetto, come quelli della tenda Tuiza, allestita al Museo di San Telmo dall'artista di Siviglia Federico Guzmán cucendo gli abiti delle donne del Sahara occidentale, un momento di solidarietà e integrazione con questa comunità maghrebina. Lo spazio, si legge nel programma, sarà usato fino a giugno «per discutere dei diritti di un popolo ad avere la propria terra, le proprie radici, la libertà».

Un altro esempio è la mostra itinerante di vignette apparse sui giornali dagli anni 70 a oggi, un modo ironico e acuto per rileggere la storia con distacco, affiancata da conferenze e incontri in vari luoghi della città. San Sebastián è a misura d'uomo. Dalla fondazione al Municipio corre una distanza di dieci minuti di buon passo. Il palazzo del sindaco ha la monumentalità di fine '800, è un ex casinò dove l'élite della Belle Époque si dava ai bagordi. Oggi lo guardano, silenziosi, i tamarindi e i fiori del giardino Alderdi. Eneko Goia, 41 anni, è sindaco da circa un anno, ha preso 30mila voti ed è orgoglioso del titolo di capitale europea della cultura di cui, osserva, c'è già qualche effetto in termini di afflusso turistico «ma non ci interessano ricadute materiali. Qui il tasso di disoccupazione è inferiore al 10% contro il 23-24% nazionale, i servizi sono efficienti, i turisti non mancano, a cominciare dagli spagnoli, Madrid e Barcellona in testa. Poi ci sono francesi, americani, inglesi e tedeschi». A proposito del resto della Spagna, non c'è migliore interlocutore del primo cittadino cui chiedere qual è lo specifico di San Sebastián rispetto alle altre città. «Ma questa non è una città spagnola!» è l'istintiva, spiazzante risposta, accompagnata da una risata leggera. Il discorso prosegue su questo binario, per dire che l'anima di San Sebastián è «la sua storia, la sua identità e la capacità di essere riusciti a garantire una società libera dove convivono molti punti di vista».

Ma a domanda diretta – se il suo sogno continui a essere l'indipendenza – Goia non si cela dietro giri di parole, e con pacatezza dice «sì, è la mia scelta. Spero in uno Stato indipendente, ma capisco che ci sono persone che non la pensano allo stesso modo, e per me è più importante avere il diritto di decidere ed essere in grado di trovare un accordo tra noi, anche rinunciando all'indipendenza».
Qualche settimana fa, è arrivato a San Sebastián Arnaldo Otegi, ex leader separatista che ha appena finito di scontare sei anni di carcere (ne ha trascorsi 15 in totale) per aver allora tentato di far risorgere Batasuna, il braccio politico dell'Eta. È stato accolto come un eroe da 10mila persone e intende candidarsi alla guida dei Paesi baschi. Il sindaco non solo non è preoccupato, ma ritiene che sia «un buon segno, un elemento di normalizzazione. Ciascuno deve avere l'opportunità di partecipare alla vita politica e spero che Otegi abbia la possibilità di farlo come altri, alle stesse condizioni, in modo che la gente possa scegliere. È l'essenza della democrazia».
Non sorprende, a questo punto, che il contributo del San Sebastián film festival – uno dei più prestigiosi d'Europa (con Cannes, Venezia e Berlino) – a DSS2016 sia una serie di dodici corti realizzati da registi baschi: comporranno un documentario che sarà poi presentato alla kermesse, a settembre. Ne parla Joxean Fernández, membro del comitato di selezione del festival, non prima di un giro di pintxos. Chi passa da questa città non può perdere gli stuzzichini sontuosi e saporiti che si trangugiano in piedi, appoggiati al bancone, fuori dal locale se la temperatura lo permette.

A Casa Urola, nella parte vecchia, c'è un'ampia varietà di pintxos, pari a quella degli avventori: ragazzi, adulti, pensionati. Memorabili lo spiedino di polpo con crema di patate e olio di paprika dolce e la tartina con salmone affumicato in casa: siamo in un luogo famoso anche per ben otto ristoranti stellati Michelin nel raggio di 25 chilometri.
Con nuova energia, ascolto il racconto di Fernández, che è anche direttore degli archivi baschi del film festival. «Il progetto si chiama Kalebegiak (“gli occhi della strada”, ndr) e vi partecipano registi di diverse generazioni, come Julio Medem, Imanol Uribe, Gracia Querejeta, Daniel Calparsoro, Borja Cobeaga e altri. Narrano storie di San Sebastián, drammatiche, impegnate o spensierate. Ne verrà fuori un ritratto composito di convivenza, ciascuno la interpreta dal proprio punto di vista», attraverso un linguaggio, quello cinematografico, riconosciuto e molto amato dalla gente. All'edizione dell'anno scorso hanno partecipato quasi 175mila persone, praticamente l'intera città, rifletto lungo la via del ritorno sul lungomare. All'improvviso un rumore forte fa girare di scatto i passanti, che sorridono increduli: è solo il fragore di un'onda più alta.
eliana.dicaro@ilsole24ore.com

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