Cultura

Brexit, cosa cambia per l’industria cinematografica?

  • Abbonati
  • Accedi
cinema

Brexit, cosa cambia per l’industria cinematografica?

Dopo diverse settimane dallo storico referendum che ha portato la Gran Bretagna a uscire dall'Unione Europea, non si placano le polemiche e le voci dei tanti che vogliono dire la loro su quali conseguenze provocherà a lungo termine la Brexit.

Oltre alle tante riflessioni economiche e politiche, anche l'industria cinematografica si chiede quali potrebbero essere le ripercussioni nel mondo dello spettacolo. Se prima del voto i protagonisti della settima arte erano divisi su quale fosse la decisione migliore per il popolo britannico (l'attrice Elizabeth Hurley si era schierata a favore della Brexit, mentre Daniel Craig si era dichiarato ufficialmente contro, giusto per citare due delle massime celebrità cinematografiche britanniche), anche adesso c'è molta incertezza su cosa porterà il futuro.

I dubbi sono vari, a partire da come si potranno sviluppare le co-produzioni internazionali tra il Regno Unito e gli altri paesi europei, ma le problematiche principali a cui dovranno far fronte le case di produzione potrebbero essere la diminuzione di fondi e sussidi da parte dell'Unione Europea pensati per l'industria dello spettacolo.

In più, secondo alcune voci americane come l'Hollywood Reporter, la sterlina più debole potrebbe svantaggiare persino gli incassi al box office.

Quello che è certo, in mezzo a tante domande, è che quasi tutti i capi dell'industria del cinema si erano schierati a favore della permanenza britannica nell'Unione Europea. Tra coloro che si sono fatti maggiormente sentire, svetta Michael Ryan, presidente della Independent Film & Television Alliance: «La decisione di uscire dall'Unione costituisce una grave caduta per l'industria cinematografica e televisiva britannica. Sono entrambi settori costosi e ad alto rischio, e avere certezza circa il quadro di regolamentazione di questo business è assolutamente fondamentale. È una decisione che, a oggi, ci scuote profondamente. Non sappiamo più come funzioneranno le nostre relazioni con i co-produttori, i finanziatori, i distributori e, soprattutto, non sappiamo se saranno immesse nuove tasse sulle nostre attività nel resto d'Europa o come i nostri finanziamenti saranno raccolti senza nessun input dalle agenzie di finanziamento europee […] Questa, per noi, sarà probabilmente una catastrofe». Tra i più pessimisti c'è anche il celebre produttore newyorkese Harvey Weinstein, che ha definito la Brexit un «vero e proprio disastro», mentre in molti si preoccupano anche della maggiore difficoltà di poter finanziare prodotti indipendenti che vadano al di fuori dell'industria classica.

Mentre crescono la paura e la perplessità, diversi film europei di quest'anno – usciti anche prima della Brexit – hanno mostrato come l'unione fosse soltanto un'illusione (anche in chiave metaforica, come il danese «La comune» di Thomas Vinterberg o il polacco «United States of Love» di Tomasz Wasilewski).

Il più lucido in questo senso è stato «Death in Sarajevo» del bosniaco Danis Tanovic, vincitore del Gran Premio della Giuria all'ultimo Festival di Berlino. Ambientato in un albergo di Sarajevo il 28 giugno del 2014, giorno in cui ricorse il centenario dell'assassinio di Francesco Ferdinando che diede il via alla Prima guerra mondiale, il film è una grande allegoria satirica sull'incerto presente del Vecchio Continente. La speranza è che questa pellicola possa arrivare presto anche nelle sale italiane, così da aiutare a riflettere su quali sbagli abbiamo fatto in passato e quanto questi stiano influenzando il nostro presente e, di conseguenza, il nostro futuro.

© Riproduzione riservata