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L’Occidente al tramonto

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L’Occidente al tramonto

Non pochi antropologi, e tra essi Ida Magli scomparsa lo scorso febbraio, si pongono con storici e filosofi una domanda dalle sembianze spettrali. Uno di quegli spettri che si aggirano con frequenza in Occidente e particolarmente in Europa: la nostra civiltà è giunta alla fine? Non è il caso di tentare risposte affrettate, meno che mai di fare spallucce o infastidirsi; conviene piuttosto riflettere, possibilmente con calma.

Innanzitutto è bene ricordare che tra il 1918 e il 1923 uscivano a Vienna i due volumi di Oswald Spengler dal titolo “Il tramonto dell'Occidente”. Fu un'opera fortunata che influenzò non pochi pensatori e politici. Il filosofo tedesco, non gradito a Benedetto Croce, affermò – lo diciamo in estrema sintesi - che le civiltà assomigliano agli organismi umani. Nascono, fioriscono, decadono e muoiono. La nostra sarebbe agli sgoccioli, il suo motore avrebbe le caratteristiche di quelli fermi da tempo. Che fare? Non discutiamo tali considerazioni, diremo soltanto che numerose opere vanno lette tenendo presente codeste ipotesi.
Ora gli anni che stiamo vivendo sono paragonati con sempre maggior frequenza a quelli della fine dell'impero di Roma. Le cause del crollo sono attualizzate, i paragoni si moltiplicano, i sintomi messi a confronto. Il più fortunato saggio di questo genere è stato da poco pubblicato in Italia dalla Leg (Libreria Editrice Goriziana) e la prima tiratura si è esaurita in pochissimi giorni. Lo ha scritto Michel De Jaeghere e il titolo è esplicito: “Gli ultimi giorni dell'impero romano” (pp. 628, euro 34). L'autore, storico e giornalista (dirige “Le Figaro Histoire”), sostiene una tesi riassumibile in due punti: il crollo di Roma si deve a un'invasione violenta del territorio di popoli che desideravano appropriarsi della sua ricchezza senza rispettare le regole sociali e giuridiche che l'avevano consentita; inoltre fu caratterizzato da eccessive tasse che, alla lunga, sterilizzarono economicamente le parti attive dell'impero favorendo soltanto quelle passive di potere. Fenomeni che ci riguardano?
Rispondiamo osservando da vicino i barbari invasori, aprendo un altro libro. E' di Jordanes, un autore del sesto secolo. L'ha pubblicato Città Nuova, è curato da Gianluca Pilara per la collana “Testi patristici”: si intitola “Storia dei goti” (pp. 184, euro 22). In esso sono tra l'altro descritti gli unni. “Popolo selvaggio” – nota l'autore – grande nemico di Roma, capace soltanto di disturbare “la quiete dei confinanti con frodi e rapine”. Il loro aspetto “terrorizza” ed essi infieriscono “persino sui propri figli dal giorno della nascita”. Come? Ai maschi “incidono le guance con la spada, affinché, prima che arrivino a nutrirsi del latte, imparino a sopportare il dolore”.
Parole distanti dalla civiltà romana. Dal suo diritto o dalle opere morali di Seneca. Alla fine, comunque, vinsero.

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