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La penna poetica degli Indiani americani

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La penna poetica degli Indiani americani

Toro Seduto, il vincitore di Custer nella battaglia di Little Big Horn (25 giugno 1876), non fu soltanto un guerriero. Lasciò dei versi, era poeta: “Uccello grazioso, sei venuto e hai provato compassione per me/ desideravi che il mio popolo vivesse./ Popolo degli uccelli, io sono vostro fratello”. Ebbe inoltre il dono della profezia.
Geronimo, uno dei più grandi condottieri indiani, un Apache, si arrese con dignità ed eleganza. Nel suo “Discorso di resa” fatto al generale George F. Crook (il testo è giunto a noi), il guerriero si esprime con commovente sincerità. Tra l'altro, le sue parole evocano il sommo testimone: “C'è un solo Dio che ci guarda tutti dall'alto. Siamo tutti figli dello stesso Dio. Dio mi sta ascoltando”.
E anche Capo Giuseppe, dopo che “gli uomini bianchi ingannarono, tiranneggiarono e assassinarono”, nel 1877 condusse la sua gente fuori dall'Oregon in una delle più grandi ritirate militari della storia: 1500 miglia sino al Canada. Anche di lui ci è pervenuto un “Discorso di resa”. E' permeato di orgoglio e di nobili sentimenti: “Voglio avere tempo di cercare i miei bambini e vedere quanti ne posso trovare. Forse li troverò tutti tra i morti. Ascoltatemi, miei capi, sono stanco. Il mio cuore è triste e malato. Da dove ora si trova il sole, non combatterò più, per sempre”.

Non sono che esempi tra i numerosi possibili. Gli Indiani d'America, che vennero sterminati sistematicamente e spogliati delle loro terre, avevano cultura, elaborati valori etici e morali, oltre a uno spirito guerriero. Anche se una larga produzione di film hollywoodiani li definiva nei dialoghi dei coloni semplicemente (e con disprezzo) “selvaggi”, tali non furono; anzi, da loro possiamo continuamente imparare qualcosa.
La prova eccola in una preziosa ristampa, pubblicata da Jaca Book, dal titolo “Scritti e racconti degli Indiani-americani” (pp. 240, euro 18). Un libro del 1972 (Jaca Book lo tradusse nel 1974, ora lo ripropone) realizzato a quattro mani da Shirley Hill Witt (antropologa, poetessa e scrittrice, docente all'Università della Carolina del Nord e al Colorado College; originaria della Nazione Mohawk) e da Stan Steiner, morto nel 1987, già attivo nel Consiglio Nazionale della Gioventù Indiana.
Il libro, oltre a testimonianze, cronache, poesie, racconti e non poche sorprese, è importante per le informazioni di carattere storico e mitico. Rivela l'altra faccia di un mondo che sovente è stato banalizzato dalle produzioni cinematografiche o umiliato sbrigativamente per giustificare una conquista spietata. Una vera guerra che debellò popoli il cui valore si può riassumere evocandone l'orgoglio e le tradizioni delle quali furono gli ultimi testimoni. Alce Nero, degli Oglala, che fu uomo di vaste conoscenze mediche e si convertì al cristianesimo, disse nel 1890: “Non è come nasci, ma come muori, che rivela a quale popolo appartieni”. Parole degne di Seneca.

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