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La scienza entro i limiti della ragione

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La scienza entro i limiti della ragione

Capita sovente di trovare in qualche saggio, divulgativo o no, una battuta che Werner K. Heisenberg fece contro Erwin Schrödinger, due padri della meccanica quantistica, vincitori del premio Nobel per la fisica rispettivamente nel 1932 e nel 1933: “Quanto più penso - disse Heisenberg - agli aspetti fisici della teoria di Schrödinger, tanto più li trovo repellenti. Ciò che scrive della visualizzabilità della sua teoria non è probabilmente del tutto esatto, detto in altri termini sono cretinate”.
Non è il caso di stabilire chi dei due avesse ragione e perché. Basta tale esempio per ricordare che la scienza si può discutere, politicizzare, rendere talvolta personale. Non rappresenta l'assoluto, anche se resta lo strumento più concreto per capire e vivere la realtà.

Queste considerazioni vanno poste in margine a un saggio di Susan Haack, dell'Università di Miami. Sono introduttive a un suo libro, ora tradotto dalla casa editrice Ariele, dal titolo “Difendere la scienza… entro i limiti della ragione. Tra scientismo e cinismo” (pp. 410, euro 29). Scritto con brio e umorismo, ricco di esempi tratti dalla storia, è un approccio a questioni riguardanti l'evidenza o il metodo scientifico. O meglio, usando le parole dell'autrice: “Il suo scopo è quello di formulare una nuova, e auspicabilmente vera, interpretazione di che cos'è la scienza e di come agisce”.
Tra le molte questioni trattate dalla Haack vi è la politicizzazione. Non è una caratteristica dei soli regimi totalitari. La scienza sovietica era orgogliosa di essere marxista e di contribuire alla costruzione del socialismo. Qualcosa di simile, in termini ben diversi, capitò nella Germania di Hitler. La Haak scrive a pagina 277: “La scienza nazista era epistemologicamente corrotta perché il suo obiettivo non era quello di cercare la verità, ma di promuovere un programma politico”.
E qui possiamo aggiungere i casi di due altri premi Nobel per la fisica, Philip Lenard (lo vinse nel 1905) e Johannes Stark (nel 1919), i quali sostenevano che la razza dei ricercatori determina i risultati. Usiamo ancora le parole della Haak, sempre a pagina 277: “Ammiravano la fisica tedesca perché in diretto contatto con la natura, ma deploravano la fisica ebraica perché colpevole di astrazione”.
C'è una dichiarazione di Lenard contro l'idea che la scienza sia internazionale: “E' falso. La scienza, come ogni altro prodotto umano, è razziale e condizionata dal sangue”. Stark, invece, a cui è dedicato un cratere lunare, fu condannato a quattro anni di reclusione dagli alleati. Attaccò Heisenberg, perché “continuava ad avere rapporti con Einstein e la scienza ebraica”. La polemica, però, finì. Il motivo? Heisenberg si rivolse direttamente a Himmler, amico di famiglia, che lo aiutò a discolparsi.

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