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Berlusconi diventa «Loro» di Sorrentino. Quando il potere tollera…

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dal palazzo al grande schermo

Berlusconi diventa «Loro» di Sorrentino. Quando il potere tollera la satira (e quando no)

Per Renato Brunetta è «una cosa ignobile. Una di quelle robe che a me fanno schifo, che si ritorcerà contro chi l’ha fatta e che finirà, come sempre, per far guadagnare voti e consensi a Berlusconi». Per Maurizio Gasparri sarà «un film pieno di luoghi comuni, l’ennesima operazione denigratoria nei confronti di un uomo troppo buono». Niccolò Ghedini guarda altrove: «Sinceramente abbiamo altro a cui pensare». Quanto al diretto interessato, Silvio Berlusconi, qui in Italia l’uomo più potente dell’ultimo quarto di secolo almeno, siamo fermi alle parole pronunciate in autunno, appena seppe che stava per entrare, suo malgrado, nella trama di un altro film, stavolta a firma di un regista premio Oscar: «Mi sono giunte strane voci di un’aggressione politica nei miei confronti. Spero che non lo sia».

Trenta secondi possono essere più che sufficienti a far scoppiare una guerra. Ed è esattamente quello che è successo ieri con i trenta secondi del primo teaser di Loro, prossima pellicola di Paolo Sorrentino che in tutta probabilità sarà presentata in anteprima al Festival di Cannes: un film sull’ultima fase del berlusconismo di governo, tra olgettine, «cene eleganti» a bordo piscina, la crisi con la moglie Veronica Lario e persino il cane Dudù. Berlusconi è interpretato dal camaleontico Toni Servillo che, per Sorrentino, era già entrato nel corpo di Giulio Andreotti ai tempi del Divo (2008).

L’uomo che amava essere amato
«Ma te che cosa ti aspettavi, di poter essere l’uomo più ricco del paese, fare il premier e che anche tutti ti amassero alla follia?», gli chiede una voce dallo spiccato accento settentrionale nel teaser. «Sì, io mi aspettavo proprio questo», replica il Silvio sorrentiniano, in un’atmosfera che ricorda da vicino quella del capolavoro del cineasta napoletano La grande bellezza (2013). Perché l’operazione Loro, prodotta da Indigofilm, Pathé e France 2 Cinéma e distribuita da Universal, per quel pochissimo che si è potuto vedere, sembra essere un po’ la risciacquatura in Lambro dei panni del mitico Jep Gambardella. Quanto basta per buttarla in caciara. O, se preferite, portarci a meditare sulle alterne vicende che, più o meno da sempre, hanno caratterizzato il rapporto tra il potere e la satira («dire la verità con il sorriso sulle labbra») chiamata a rappresentarlo. Con il potere che, a volte, incassa con stile e liberalità, altre risponde in maniera perentoria.

Nel morso del «Caimano»
Partiamo dalla fine della storia e, cioè, proprio da Sorrentino. E da Berlusconi, oggetto come nessun altro personaggio della storia italiana recente delle attenzioni di cinema e televisione. Il Caimano (2006) di Nanni Moretti - esperimento di metacinema che racconta la storia di un improbabile produttore alle prese con un biopic sull’ex premier - divise le truppe di Forza Italia. Certo, ci fu chi s’indignò, qualcuno ci trovò spunti interessanti di riflessione (il finale a sorpresa con Moretti che sceglie di interpretare Berlusconi), nessuno tra i berlusconiani in ogni caso provò a bloccare la pellicola. Diversa fu l’attenzione che il Cav. rivolse a Daniele Luttazzi che, nel provocatorio programma Rai Satyricon, aveva ospitato un Marco Travaglio impegnato in una lunga dissertazione anti Cav: il comico romagnolo, insieme con Enzo Biagi e Michele Santoro, finirà al centro del celeberrimo «editto di Sofia» del 2002, tra i tormentoni del secondo governo Berlusconi.

Il 1992 del Cav. e la «mascalzonata» su Andreotti
In tempi più recenti il leader di Forza Italia è apparso sul piccolo schermo nelle serie 1992 e 1993. Anche in questo caso nessuna reazione stizzita. Ma si può dire che il Cav. uscisse piuttosto bene dal racconto proposto da Sky. Figura complessa, personaggio titanico, magari a luci e ombre, eppure pieno di fascino. Come lo era l’Andreotti sorrentiniano. A proposito: il senatore a vita, inizialmente, bollò come «una mascalzonata» il biopic a lui dedicato, poi si pentì e, in un’intervista a Tv Sorrisi e Canzoni, ammise: «Ho esagerato. Le mascalzonate sono altre». Quando si dice la classe dei padri costituenti.

Dalle commedie di Aristofane al «Pasquale» di Totò
A spingersi più indietro con gli aneddoti si può arrivare davvero lontano. Alla Grecia classica, per esempio, dove le commedie di Aristofane potevano permettersi il lusso di prendere per i fondelli i politici più in voga. O all’antica Roma, dove il poeta Nevio paga a caro prezzo una battuta sulla famiglia dei Metelli («Fato Metelli Romae fiunt consules», ossia «per caso» ma anche «per disgrazia di Roma i Metelli sono diventati consoli») o dove il mimo Laberio, mai tenero nei confronti di Cesare, si ritrova costretto a partecipare alle rappresentazioni in onore di quest’ultimo, vincitore su Pompeo. Si può arrivare alle punzecchiature settecentesche dell’inglese Jonathan Swift o al ventennio fascista, quando si poteva fare satira, purché al bar, sottovoce e in forma rigorosamente anonima, quasi carbonara. E allora vai con le pasquinate sul Duce e il suo cerchio magico, dove primeggiava Galeazzo Ciano «conte di Cortellazzo/ buona la rima in ano/ meglio la rima in azzo».
Insomma: com’è meglio che si comporti «il Principe» di fronte alla satira? Machiavelli non sembra dircelo esplicitamente, ma un consiglio utile potrebbe arrivare da un altro principe, Antonio de Curtis di Bisanzio in arte Totò: se arriva qualcuno che non mi conosce, mi grida contro e mi prende a schiaffi chiamandomi Pasquale, io non reagisco. Anzi, abbozzo, porgo l’altra guancia, al massimo rispondo con una risata: «E che so’ Pasquale, io?»

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