«Noi siamo pronti al dialogo con tutti, ma dovete venire a parlare con noi altrimenti è difficile che questa legislatura parta», dice uno. «C’è una tradizione di Sinistra che non vota o che guarda alla Lega e cercheremo di raccogliere queste forze», rilancia l’altro. Il primo è Luigi Di Maio, cittadino che il Movimento 5 Stelle, fresco del 32% alle elezioni, ha designato per Palazzo Chigi. Il secondo è Matteo Salvini, segretario e candidato premier della Lega che, dall’alto del suo 17%, guida la coalizione di Centrodestra.
In mezzo c’è il Pd, pesantemente ridimensionato dal giorno del giudizio 4 marzo 2018 che gli ha fruttato un 18% troppo modesto per un partito a vocazione governativa ma per paradosso, in una legislatura così difficile da decifrare, ago della bilancia degli equilibri a venire. In mezzo al Pd resiste il segretario pro tempore Matteo Renzi, altrettanto deciso a rassegnare le dimissioni dopo la formazione di Parlamento e nuovo governo e a impedire che i democratici sostengano eventuali maggioranze trasversali.
E proprio qui sta il punto: nelle ultime ore il Pd è diventato oggetto di appelli più o meno espliciti da parte di M5S e Lega. Che possa improvvisamente scoppiare l’amore tra quella che sarà la delegazione parlamentare democrat e i grandi vincitori dell’ultimo appuntamento elettorale? Mettiamola così: domani non si sa se ci ameremo, ma in compenso ieri c’eravamo tanto odiati. Tra frizzi, lazzi e insulti. Breve riassunto delle puntate precedenti.
C’era una volta Bersani in streaming
Il primo democratico a finire nel mirino degli attacchi pentastellati fu Piero Fassino, messo in croce per una celeberrima dichiarazione del 2009, quando liquidò piuttosto in fretta il protagonismo politico di Beppe Grillo: «Grillo se vuole far politica», disse, «fondi un partito, si presenti alle elezioni e vediamo quanti voti prende». Frase a effetto boomerang, alla luce dei risultati elettorali del febbraio 2013 che videro la prima grande affermazione M5S. E vai con i meme su Facebook, dove Fassino dichiara: «Se Steve Jobs vuole costruirsi i computer da solo, che lo faccia, si chiuda in un garage e vediamo dove va a finire». Oppure: «Se Cristoforo Colombo pensa di essere un grande navigatore, parta con tre caravelle e vediamo cosa combina».
La madre di tutte le battaglie anti Pd del Movimento 5 Stelle è in ogni caso la diretta streaming cui, a parti invertite rispetto allo scenario odierno, all’indomani delle elezioni del 2013 vinte di misura dal Pd, fu sottoposto l’allora segretario Pier Luigi Bersani che ce la mise tutta per convincere i parlamentari M5S Vito Crimi e Roberta Lombardi a un governo di scopo. Un’umiliazione a detta di molti, soprattutto dei militanti Pd che oggi si oppongono a qualsiasi ipotesi di appoggio, interno o esterno che sia, a un governo pentastellato.
Tra «Pdmenoelle» e «Pidioti»
Comunque la si metta, nel corso dell’ultima legislatura, si sono visti toni ben più accesi nei confronti del Pd, ribattezzato prima «Pdmenoelle», a sottolineare che non esisteva poi questa grossa differenza con il Pdl di Silvio Berlusconi, poi partito di «Pidioti». Renzi per Grillo è stato a lungo l’«ebetino», Maria Elena Boschi «Maria Etruria», a evidenziare il conflitto d’interessi con la Banca dell’Etruria, i sostenitori democrat spesso e volentieri «massoni», se non addirittura «mafiosi». In molti ricorderanno infatti Alessandro Di Battista in posa davanti al poster con la «piovra democratica» che avrebbe dovuto rappresentare le innumerevoli e torbide commistioni di un partito che era insieme «Mafia Capitale», «Gomorra Pd» e «Trivellopoli». Ci fermiamo qua, ma gli esempi potrebbero essere ancora più numerosi e clamorosi. Così clamorosi da finire in cause per diffamazione.
Se Salvini ti chiama Cetto La Qualunque
Da «partito di pancia», anche la Lega sovranista di Salvini non si è mai persa in convenevoli con il Pd renziano. La linea è chiara: «Col Pd né adesso, né mai», diceva il segretario del Carroccio nel maggio dell’anno scorso, di fronte alla platea del congresso di Parma. Renzi per Salvini «è Cetto La Qualunque, spara numeri a caso», il suo partito «irresponsabile» sul fronte delle politiche di gestione dell’immigrazione, addirittura «complice degli scafisti». Quello stesso partito che oggi per il leader leghista diventa espressione di un popolo che «guarda alla Lega». Proprio come la Lega nel 1995, alba della seconda Repubblica, nelle parole dell’allora segretario del Partito Democratico della Sinistra Massimo D’Alema era «una costola della Sinistra». Ve la ricordate la canzone? «Come si cambia per non morire». La cantava un’icona del Centrosinistra. Che per una breve fase è stata icona dei Cinque Stelle. «Come si cambia per ricominciare».
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