Luigi Barzini, morto a Milano nel 1947 a 73 anni, resta uno dei protagonisti della cultura italiana del Novecento oltre che giornalista e scrittore.
Nel 1900, collaboratore del Corriere della Sera, fu inviato in Cina al seguito della spedizione composta da Giappone, Russia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia, Italia e Germania. Un piccolo contingente militare con il compito di reprimere i Boxers, che avevano mano pesante su stranieri e cristiani cinesi. Sulla via del ritorno Barzini attraversò le isole giapponesi e la Siberia.
È difficile elencare tutti i luoghi che lo videro come corrispondente. Diremo, per fare alcuni esempi, che si trovava in Russia nel 1902, in Marocco nel 1906, in America nel 1908; inoltre nel 1907 accompagnò il principe Scipione Borghese nella gara automobilistica Pechino-Parigi. Tutto questo senza contare i fronti di guerra. Nel 1923 lasciava l'Italia per fondare a New York il Corriere d'America. Ritornò nel 1932 e venne chiamato alla direzione de Il mattino di Napoli.
Ora la casa editrice Luni ripubblica “Nell'estremo Oriente” (pp. 352, euro 24), un libro con le corrispondenze inviate da Barzini dalle zone di guerra tra il luglio 1900 e il marzo 1901. Articoli scritti con grande mestiere, leggibilissimi ancora oggi. Descrivono i tragici fatti della Rivolta dei Boxer, i disastri recati dal conflitto, i morti e le macerie. “La Cina è il cimitero di una civiltà”, nota Barzini.
Giunto a Pechino, egli riesce a ricostruire sin nei dettagli i giorni cruciali del celebre assedio alle Legazioni straniere e si rende conto del costo di quella guerra, creduta giusta in Occidente e sciagura in Cina. Le sue parole vanno ancora meditate: “I barbari siamo noi. Perdo la netta percezione di che cosa sia vera civiltà; tutto quanto credevo prima, crolla e si dilegua”.
Tra le molte descrizioni presenti in questo libro riproposto dall'editrice Luni, tra combattimenti, affari, miserie e glorie quotidiane, c'è anche un'esecuzione. Barzini registra con prosa accattivante lo spettacolo crudele; riporta i commenti e, leggendoli, ci si rende conto che i civilissimi presenti (inglesi, tedeschi, americani, francesi eccetera) consideravano quel povero disgraziato, a cui venne tagliata la testa, al pari di un pollo o di un maiale. Vale anche in tal caso meditare su alcune considerazioni di Barzini, scritte nel capitolo “Addio, vecchia Pechino!”: “… ho un bel ripetermi che i cinesi sono fuori dal diritto delle genti e che noi siamo invece in perfetta regola con le leggi umane e anche divine; qui, davanti allo spettacolo dell'opera nostra, contrapposto a quello dell'opera loro, qui sento che la mia fede nella nostra civiltà si affievolisce”.
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