Nei “Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni i baci d'amore non ci sono. Mai un'effusione, nemmeno a labbra sfiorate tra Renzo e Lucia, anche se la casuistica dei gesuiti lo consentiva tra fidanzati. Le passioni della Monaca di Monza, che avrebbero potuto rompere il ghiaccio, sono nascoste dalla celebre locuzione “La sventurata rispose”.
La madre di Cecilia bacia la sua bimba morta di peste, padre Cristoforo riceve il “bacio di pace” dal fratello del nobile che ha ucciso prima di vestire l'abito; persino il Gran Cancelliere, che porta soccorso al Vicario asserragliato in casa, manda baci alla folla, ma sono falsi come quelli dei politici.
Renzo e Lucia non si baciano nemmeno al matrimonio, i loro bambini compaiono nel romanzo senza che quel giansenista di Manzoni conceda un cenno alla passione che li ha generati. I pargoletti sono comunque baciati da Agnese, la nonna, che li accudisce. In “Capitan Fracassa” Théophile Gautier descrive un bacio del protagonista a Isabella dopo duecento pagine circa: ci mette il suo tempo, ma almeno lo autorizza.
Si ha quasi l'impressione che Manzoni sia geloso di Lucia. E, nonostante il grande scrittore crei Don Rodrigo, che non avrebbe avuto certo problemi a dispensare baci in tutte le maniere, non gliene concede uno. Forse avrebbe potuto fare qualcosa di più ma, almeno nell'edizione dei “Promessi Sposi” del 1840, resta a bocca asciutta e lo vediamo costretto nel capitolo VII a entrare in una casa “dove andava, per il solito, molta gente, e dove fu ricevuto con quella cordialità affaccendata”. Insomma, in un luogo dove, supponiamo, avrà incontrato signorine di larghe vedute morali e di qualche pretesa economica. Lucia no, niente. Se il nobilastro si sentiva un po' don Giovanni, Manzoni si vendica di lui sino a spingerlo in un bordello.
Queste considerazioni disordinate ci sono venute alla mente leggendo un librino delizioso di Pasquale Stoppelli, “Don Giovanni nei Promessi Sposi” (Book Time, pp. 52, euro 6), ove si mette il luce tra l'altro la differenza che corre tra molte situazioni del “Fermo e Lucia” e dei “Promessi Sposi”. Giacché, come ebbe modo di notare Luigi Russo, tra la prima del romanzo (1827) e la definitiva (1840) c'è il passaggio dal realismo all'idealismo.
Stoppelli segnala l'isolamento che i personaggi dei “Promessi Sposi” subiscono rispetto ai medesimi di “Fermo e Lucia”. Per esempio, nella prima, fra Cristoforo “ha tratti di debolezza, i contadini scherzano con lui”; insomma, il religioso non è ancora un frammento di assoluto capitato quaggiù. E tra i molti casi, oltre le differenze tra le due Gertrude, c'è nel 1827 una giovane operaia della filanda, alla quale prima che a Lucia don Rodrigo rivolse attenzioni. Costei “rispose” al don Giovanni del lecchese, “rispose” talmente bene che un giovane desideroso di chiederne la mano pensò a un'altra soluzione.
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