Lo spettatore è protagonista dell'innovativa nuova mostra alla Hayward Gallery: il suo riflesso, la sua percezione, il suo coinvolgimento sono parte integrante delle opere d'arte esposte.
La galleria londinese sulla South Bank celebra i suoi cinquant'anni con la mostra Shapeshifters, che esplora cinque decenni di arte mirata ad alterare la percezione
dello spazio e il senso della forma e a disorientare, ma anche far riflettere, chi guarda.
Venti artisti internazionali hanno contribuito alla mostra, alcuni con opere già note, altri con opere create quest'anno apposta
per gli spazi brutalisti della Hayward. “La galleria diventa un laboratorio di esperienza sensoriale e percettiva, una danza
nello spazio, - spiega Cliff Lauson, curator della mostra. – Il bello è che le opere del 1969 sono contemporanee e importanti tanto quanto quelle realizzate
oggi.”
Il fil rouge che collega opere create in periodi così diversi e con materiali diversi è il rapporto diretto che si instaura
tra spettatore e opera, un coinvolgimento del tutto personale, mentre l'utilizzo dei riflessi e degli specchi sembra voler
far riflettere sul nostro mondo ossessionato dalle selfie. Secondo Lauson questa sarà la mostra “più instagrammabile dell'anno”.
Anish Kapoor presenta due opere: al piano terreno il suo “Non-oggetto (porta)” del 2008, un blocco rettangolare di acciaio inossidabile
lucido con lati concavi e convessi, che fa ribaltare, e sembra catturare e lanciare in aria il riflesso di chi si avvicina.
Sulla terrazza del piano superiore invece c'è “Sky Mirror, blue” del 2016, un disco concavo perfetto che cattura il panorama
di Londra, il cielo e le nuvole e riflette tutto, ma capovolto e tinto di blu.
Una sala ospita il “Giardino di Narciso” di Yayoi Kusama, uno dei “paesaggi liquidi” dell'artista giapponese, un'installazione di centinaia di sfere di metallo lucido nelle quali
si riflette innumerevoli volte sempre in modo diverso l'immagine di chi le guarda.
“Untitled” di Fred Eversley è un'opera del 1971, ma assolutamente moderna: un grande disco di resina di poliestere colorata, che l'artista ha descritto
come “arte cinetica senza elementi cinetici”, perché il movimento non viene dall'interno ma dipende dalle variazioni della
luce e dagli spostamenti di chi lo guarda e viene riflesso e catturato nella sua orbita colorata.
In un'altra sala c'è “WeltenLinie” di Alicja Kwade, in mostra per la prima volta dopo il debutto alla Biennale di Venezia dell'anno scorso: un'installazione che mira a disorientare,
un percorso-labirinto lungo il quale tutto cambia aspetto e ogni oggetto si rivela diverso da quello che sembrava.
Al piano superiore l'esperienza diventa ancora più individuale: solo una persona alla volta può entrare a osservare l'installazione
“20: 50” di Richard Wilson del 1987. Si cammina al buio su uno stretto ponte in fondo al quale ci si può affacciare per guardare l'abisso al di sotto,
una vasta superficie perfettamente liscia e piatta, fatta di migliaia di litri di petrolio nero inchiostro riciclato, nella
quale si riflette il soffitto della sala. L'effetto inquietante è reso più acuto dall'odore di petrolio e dall'oscurità.
Una conclusione efficace per una mostra che sorprende, diverte e fa riflettere – in tutti i sensi.
ShapeShifters
Fino al 6 gennaio 2019
Hayward Gallery, Londra
www.southbankcentre.co.uk
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