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Il Mediterraneo non è solo «barconi»

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Il Mediterraneo non è solo «barconi»

Il Mediterraneo da oltre cinquemila anni accoglie più storia di ogni altro mare. Correndo sulle sue acque Ulisse cercò la meta di ogni uomo, i romani lo chiamarono “nostrum”; poi lo percorsero crociati e pirati, le navi delle repubbliche marinare o quelle che si scontrarono a Lepanto decidendo il destino dell'Occidente.

Persino dopo le scoperte di Cristoforo Colombo questa distesa d'acqua rimase in primo piano; anzi, nel secolo scorso la seconda guerra mondiale ebbe un suo importante teatro qui, con i sottomarini e le ultime corazzate.

Il Mediterraneo ha visto nascere le tre grandi religioni monoteiste; e non soltanto. Gli dei greci apparvero tra i suoi flutti e i primi cristiani solcarono questa distesa che va da Gibilterra al Medio Oriente, da Venezia ad Alessandria d'Egitto. Impossibile elencare città e cose, uomini e vicende che hanno utilizzato il Mediterraneo come luogo d'incontro o di passaggio.
Insomma, è un mare che non riesce a starsene tranquillo, con troppe civiltà attorno, con un notevole e continuo andirivieni di uomini.
D'altra parte, anche oggi il Mediterraneo è al centro dell'attenzione per gli esodi dei migranti. E, osservando quel che sta succedendo sulle sue sponde, si direbbe che nei prossimi secoli continuerà a partecipare alla storia degli uomini.
Amedeo Feniello e Alessandro Vanoli hanno scritto un libro originale, leggibilissimo, che rivela il loro progetto già nel titolo: “Storia del Mediterraneo in 20 oggetti” (Editori Laterza, pp. 192, euro 20; con illustrazioni di Andrea Antinori).
Gli autori hanno cercato di ripercorrere quel che accadde in questo piccolo oceano permeato di cultura seguendo le tracce di alcuni oggetti, a volte ordinari, altre volte curiosi o strani, comunque in grado di raccontare la storia e infinite storie.

I venti capitoli in cui è diviso il libro corrispondono agli oggetti. Vi trovate, per esempio, “Il pane” o “La moneta”, “La bussola” o “Il relitto”, “L'anfora” o “La catena”. Ogni parola cela infinite vicende ed è presentata in modo accattivante.
Trattando della bussola gli autori scrivono: “Flavio Gioia non esiste. O meglio, esiste un po', ma è frutto più che altro di un errore”. E l' interessante equivoco accadde quando il bolognese Giambattista Pio riprese una notizia di Flavio Biondo, che ricordava la nascita della bussola ad Amalfi. Notò: “Fu inventata da Flavio, si dice” (“Inventus a Flavio, traditur”). Ma, notano Feniello e Vanoli, “bastò una virgola per fraintendere irrimediabilmente quella frase”; infatti, mettendola dopo “inventus”, il senso si rovescia, perché dopo la notizia dell'invenzione resta solo la sua testimonianza: “Flavio lo dice”. Da ideatore Flavio Gioia di Amalfi diventa un semplice comunicatore.

Una dei venti oggetti è “barcone”. Dopo aver ricordato che secoli fa seguivano una rotta contraria a quelle di cui parlano le attuali cronache, gli autori chiudono il capitolo così: “Mediterraneo. Barconi. Oggi”

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