Per segnare la differenza fra gialli, noir e thriller spesso si mette in evidenza come i noir si concentrino più degli altri sull'analisi del contesto sociale in cui i personaggi si muovono. Anche nei noir ci sono una vittima, qualcuno che indaga e un colpevole, ma a volte l'assassino (o chi ha commesso altro reato) è noto dalle prime pagine e il romanzo è un’indagine sulle ragioni che lo hanno spinto al delitto. Può accadere che chi indaga abbia un ruolo subalterno e marginale anche se si tratta di un personaggio seriale. È quello che succede all’ispettore Ferraro, creatura di Gianni Biondillo, in Il sapore del sangue (Guanda).
A prendere il sopravvento in questo romanzo è il criminale, Sasà, di cui pagina dopo pagina si ricostruisce la vita fin da quando era un ragazzino che faceva il piccolo spacciatore nel quartiere Quarto Oggiaro a Milano, e di cui si segue la scalata criminale fino all’ingresso nella ‘ndrangheta. Nelle prime pagine Sasà, che avrebbe dovuto scontare trent'anni di galera, esce da San Vittore dopo soli quattro anni. Non si capisce il perché, ma lui dice che è tutto legale. Ha poco tempo a disposizione prima che i suoi nemici vengano a sapere che è fuori. Deve recuperare qualcosa che aveva nascosto per poi fuggire con moglie e figlia. Ma la situazione si complica e l’ispettore Ferraro deve capire cosa sta accadendo.
«Sasà Procopio si è imposto come personaggio durante la scrittura –racconta Gianni Biondillo-. Mi sono reso conto che effettivamente lui stava diventando il centro della narrazione. Come a volte accade, è stato il personaggio a decidere di prendere tutto questo spazio». Dall’altra parte della barricata ritroviamo, invece, l'ispettore Ferraro che sta cambiando. L'ex moglie Francesca, con la quale ha un ottimo rapporto, gli dice che si è fatto più cattivo, è diventato “sarcastico, disincantato, incazzoso”.
«Sono passati quindici anni dalla sua prima apparizione –spiega Biondillo -. All’inizio era un uomo che pensava di poter lasciare la Polizia da un momento all'altro e fare quello che sognava. Poi, come sempre, la vita ci scorre davanti mentre siamo impegnati a fare progetti. Michele Ferraro si rende conto che sta invecchiando e che i sogni di gioventù sono svaniti. È una persona normale, non è mai stato un poliziotto geniale, fa il suo lavoro senza l'entusiasmo che poteva avere agli inizi».
Se Ferraro ha un ruolo marginale in questo romanzo ed è Sasà ad avere più peso nella narrazione, la vera protagonista resta sempre Milano. Non la Milano del Duomo, ma la Milano di un quartiere periferico e problematico come Quarto Oggiaro. Quartiere ad alto tasso di criminalità nel quale Biondillo è nato e cresciuto. «La Quarto Oggiaro della mia infanzia non è quella di oggi, ci sono stati dei miglioramenti. Non è che ora ci trovi gente che gioca a canasta! È sempre un quartiere problematico, ma è anche un quartiere in cui c'è un grande orgoglio di appartenenza, è il quartiere con il più alto numero di associazioni nate a Milano».
Un distretto che ha segnato profondamente la vita dello scrittore e anche la sua narrazione visto che ha inventato un personaggio seriale che in quelle strade ci lavora. Biondillo è molto legato a quel contesto, ma da quel contesto è uscito. E' architetto e scrittore, uno che ce l'ha fatta insomma. «Se penso ai miei compagni delle medie –ci racconta-, c'è chi è diventato elettricista, chi falegname, chi operaio, ma anche chi è morto di eroina, chi ha iniziato a spacciare e a entrare e uscire dal carcere. Ma quando racconto di Quartoggiaro ci tengo a sottolineare che è un quartiere di ottime persone, oneste e lavoratrici. Narrando la vita di Sasà Procopio si capisce come sia bastato pochissimo perché un ragazzino cascasse dalla parte sbagliata».
E non è un caso che in esergo a Il sapore del sangue Biondillo riporti una frase di Isaac Hayes: “I took you out of the getto,
but I could not get that ghetto out of you”. In altre parole puoi andar via dal ghetto, ma il ghetto resta dentro di te.
«C'è chi resta nel tunnel, chi riesce a vedere la luce. In qualunque caso il tuo passato, il tuo ghetto te lo porti dentro
per sempre –dice Biondillo-. Io stesso mi sento continuamente un “imbucato”. Vengo invitato a Tokio, Teheran, Chicago per
parlare dei miei libri e mi domando sempre “Ma questi sanno chi sono io, da dove vengo?”. Ognuno ha il suo ghetto, potresti
essere cresciuto nel quartiere più figo di Milano o di New York e comunque entri dentro quelle logiche di branco che si portano
dietro spesso crudeltà incredibili. Se fossi cresciuto in altro posto sarei una persona diversa, ma non so se sarei una persone
migliore. Non possiamo far finta di non sapere da dove veniamo, perché per capire quanta strada hai fatto devi sapere da dove
sei partito».
(Alessandra Tedesco, conduce su Radio 24 “Il Cacciatore di libri” in onda ogni sabato alle 6,30 e alle 21,30)
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