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«Selfie», il documentario italiano sulla camorra girato con uno…

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festival del cinema di berlino

«Selfie», il documentario italiano sulla camorra girato con uno smartphone

In attesa de «La paranza dei bambini», c'è un altro film italiano che sta facendo discutere al Festival di Berlino: si tratta di «Selfie», interessante documentario di Agostino Ferrente, presentato nella sezione Panorama.

Protagonisti sono Alessandro e Pietro, due ragazzi del Rione Traiano, uno dei quartieri più difficili di Napoli, dove nel 2014 Davide Bifolco, sedicenne senza precedenti penali, è stato ucciso da un colpo di pistola sparato da un carabiniere durante un inseguimento conclusosi tragicamente. Ad Alessandro e Pietro il regista dà uno smartphone e chiede di riprendersi per raccontare la loro esistenza e quella del quartiere in cui vivono.

È un esperimento significativo e capace di scuotere quello pensato da Ferrente, con questa idea di un racconto in prima persona che sprona a ragionare molto sul linguaggio del documentario e sulle sue possibilità.

Sono infatti i ragazzi i veri co-registi di questa operazione e sono interessanti i dialoghi che li portano anche a dividersi su ciò che va ripreso e cosa no, in particolare su quanto mostrare delle armi e della criminalità presenti sul territorio.

Il risultato è un film forse impreciso e vittima di alcune ridondanze, ma lo sguardo è sincero ed è un'operazione capace di far riflettere e di non lasciare indifferenti. La speranza è che possa arrivare presto anche nei nostri cinema, avendo la distribuzione che si merita.

In concorso ha invece trovato spazio il nuovo film di una veterana come Agnieszka Holland, regista polacca autrice di diversi titoli di rilievo degli anni Novanta come «Europa Europa» e «Il giardino segreto».

Nel suo nuovo lavoro «Mr. Jones» racconta la storia vera di un giornalista polacco, Gareth Jones, che nel 1933 entra in contatto con la realtà sovietica e si rende conto dell'oppressione che il popolo è costretto a subire: una situazione molto diversa da quella che la propaganda sovietica racconta al resto del mondo. Jones vuole scrivere un reportage e svelare la verità, ma non sarà un'impresa semplice.

La storia di partenza è importante e degna di essere raccontata, ma l'autrice polacca fatica a trovare il giusto equilibrio tra la ricostruzione storica e l'interpretazione personale dei fatti, dando vita a una pellicola prolissa e incapace di coinvolgere come avrebbe voluto.

Anche l'apparato visivo non è di pregevole fattura, e sembra di trovarsi di fronte a una fiction televisiva di medio livello più che a un film inserito nella competizione di un grande festival.

Di tutt'altro tenore è il potente lungometraggio del canadese Denis Côté, intitolato «Ghost Town Anthology». Tra i lungometraggi migliori visti fino a oggi in concorso, racconta della vita di una cittadina del Québec, che rimane sconvolta dall'improvvisa morte di un ragazzo di vent'anni.

Girato in pellicola 16mm, il film è un'importante riflessione sullo stato delle “città fantasma” canadesi, sulla loro condizione di abbandono e sul desiderio delle persone che ci abitano di fuggire nelle grandi metropoli.

Inizialmente fortemente realistico, il film vira poi su un versante più simbolico e inquietante, in cui si parla di xenofobia e memorie del passato con una forza visiva e narrativa davvero notevole.

Denis Côté ha sempre dimostrato grande talento, sia come regista di finzione che di documentari, ma questo è forse il suo film migliore in assoluto e si merita di trovare un posto nel palmarès finale.

Infine, da segnalare che fuori concorso è stato presentato «Vice» di Adam McKay, con Christian Bale nei panni di Dick Cheney. Il film, che è uscito nelle nostre sale a inizio gennaio, non è ancora arrivato nei cinema tedeschi e ha avuto al Festival di Berlino la sua prima nazionale.

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