Tra le mostre programmate da «Matera Capitale Europea per la Cultura», la palma del primato spetta senza dubbio alla spettacolare rassegna dal titolo Rinascimento visto da sud. Matera, l’Italia meridionale e il Mediterraneo tra ’400 e ’500, allestita a Palazzo Lanfranchi fino al 19 agosto a cura di Mara Ragozzino, Dora Catalano, Matteo Ceriana e Pier Luigi Leone de Castris.
Venire a Matera per chiudersi in un museo può apparire una stravaganza. Eppure, le sorprendenti e inattese meraviglie che i curatori sono riusciti a far confluire a Palazzo Lanfranchi sono perfettamente in grado di competere con la bellezza travolgente dei Sassi e dei cieli di Matera. Con una sostanziale differenza: che i Sassi e i cieli sono sempre disponibili, mentre la mostra - letteralmente - ha i giorni contati. Insomma, il consiglio è di non perderla.
Il rinascimento nell’Italia meridionale non fu, per così dire, un rinascimento sorgivo e autoctono, quanto piuttosto un rinascimento d’importazione. Queste “importazioni” vennero facilitate innanzitutto dalle caratteristiche geografiche del territorio, proteso nel Mediterraneo, ricco di porti e approdi, e solcato, da Roma a Brindisi, dalla Via Appia e dalla Via Traiana. Poi, bisogna considerato il fatto che alla guida del Mezzogiorno si succedettero ben tre dinastie straniere, gli Angioini, gli Aragonesi e gli Spagnoli, che mantennero sempre stretti rapporti anche culturali con le terre d’origine. Più in generale, il Sud dimostrò una costante propensione all’apertura e all’accoglienza di artisti e manufatti “forastieri”, in particolare quelli provenienti dalle grandi capitali del rinascimento italiano: Venezia e Roma innazitutto, ma anche Firenze, Milano, Ferrara o Mantova.
La mostra di Matera offre uno spettacolare spaccato di questa varietà di linguaggi e di influenze, e lo fa proponendo più di duecento tra dipinti, sculture, miniature, reperti, medaglie, oreficerie, tessuti, maioliche, libri e stampe (ma anche carte geografiche, portolani, strumenti di navigazione e carte d’archivio), tutti capaci di documentare con eloquenza la mirabile fioritura artistica e culturale avvenuta al Sud tra il 1438 e il 1535.
Questa fioritura passò, innanzitutto, attraverso il mare e i porti, e la rassegna inizia proprio mostrando mappe, portolani, strumenti di navigazione e vedute di città portuali. Sul mare si giocarono anche i conflitti tra la dinastia francese degli Angioini e quella spagnola degli Aragonesi, che nel ’400 si avvicendarono nel governo del Sud: busti, statue, dipinti, miniature, stemmi e medaglie aiutano il visitatore a familiarizzare con alcuni esponenti delle due dinastie.
Poi si entra nel vivo della materia artistica. Al principio del Quattrocento l’Italia meridionale appariva avvolta nel dorato manto dell’ultima stagione gotica: in rassegna lo documentano i polittici, i crocifissi lignei (o in tela pesta), le oreficerie, i codici miniati e i bassorilievi recuperati sul territorio. Ma a un certo punto l’autunno del Medioevo tramontò e sorse, anche al Sud, l’alba di un rinascimento con connotati molto caratteristici. Morta Giovanna II d’Angiò-Durazzo nel 1435, a Napoli si insediò prima Renato d’Angiò (1438) e poi Alfonso d’Aragona (1442). Con loro giunse a Napoli innanzitutto l’arte fiamminga, e i modelli di riferimento divennero Barthélemy d’Eyck e Jan van Eyck. A Napoli approdarono artisti valenzani, catalani e maiorchini, il pittore Jacomart e lo scultore-architetto Sagrera, e forse il pittore francese Jean Fouquet. Le carte d’archivio documentano inoltre l’arrivo al Sud di opere di van Eyck, Petrus Christus o Roger van der Weyden, che influenzarono profondamente il contesto napoletano, spingendo i pittori locali più dotati, come il grande Colantonio (presente in rassegna con opere bellissime) e il suo più promettente allievo, ovvero Antonello da Messina (presente con ben tre opere), ad adottare il linguaggio analitico, descrittivo e attento alla resa degli effetti della luce, tipico della pittura fiamminga.
Alfonso d’Aragona non si limitò a puntare sulle Fiandre ma si lasciò attrarre anche dal potente fascino dell’antico: nel Sud affioravano un po’ ovunque imponenti reperti del passato greco-romano e Alfonso li prese a modello per far erigere, a esempio, l’arco di Castelnuovo o per far coniare a Pisanello medaglie bronzee con i suoi profili, a imitazione di quelli degli imperatori romani. Gli Aragonesi allargarono lo sguardo a Firenze, e commissionarono a Donatello una colossale statua equestre di cui ci resta solo la prova della testa del cavallo, che giganteggia - davvero superbamente - all’interno di Palazzo Lanfranchi. Ma a Napoli approdarono anche opere dei Della Robbia e financo di Andrea Mantegna, in mostra rappresentato dalla Santa Eufemia già conservata a Irsina.
La caduta di Costantinopoli nelle mani di Maometto II nel 1453 provocò una massiccia migrazione di artisti e di opere dal basso Adriatico verso le coste della Puglia. Icone e polittici “bizantini” vennero accolti nelle chiese cattoliche delle città meridionali e portarono un contribuito nuovo e diverso al già ricco panorama artistico locale. Sul fronte tirrenico, invece, i regni di Ferrante (1458-94) e Alfonso II d’Aragona (1494-95) accentuarono il rapporto tra Napoli, la Spagna e le Fiandre. Artisti iberici come Bermejo, Osona e Berruguete raggiunsero la capitale meridionale o mandarono le loro opere al Sud. Ma la corte aragonese continuò ad esprimere preferenze anche per opere provenienti dal centro e dal nord Italia, nel quadro di alleanze politiche coi Medici a Firenze, i Montefeltro a Urbino, gli Sforza a Milano e gli Este a Ferrara.
La cultura prospettica e l’idealizzazione della forma tipicamente italiane penetrarono a Sud grazie all’invio delle opere di Antoniazzo Romano, ma anche grazie al tirocinio di artisti meridionali nella Roma di Melozzo, Perugino e Pinturicchio, e grazie alla svolta in chiave fiorentina dello scultore siciliano Antonello Gagini e all’attività meridionale dell’emiliano Antonio Rimpatta o del veronese Cristoforo Scacco. I commerci tra Venezia e la Puglia fecero il resto: le maggiori botteghe artistiche veneziane, dai Vivarini ai Bellini, da Cima da Conegliano a Paris Bordon, da Pordenone a Lorenzo Lotto, fornirono dipinti sacri per chiese e confraternite del Mezzogiorno.
L’annessione del Regno di Napoli alla corona di Spagna (1503) produsse cambiamenti significativi anche sotto il profilo culturale: la “maniera moderna”, impersonata da Raffaello e Michelangelo, divenne il modello dominante. Opere di Raffaello giunsero direttamente a Napoli (Madonna del pesce) e a Palermo (Spasimo di Sicilia). Da Roma scesero al Sud pittori come il leonardesco-raffaellesco Cesare da Sesto o il manierista Polidoro da Caravaggio. E a tali presenze si aggiunsero pittori e scultori spagnoli come Pedro de Aponte, Pedro Fernández, Pedro Machuca, Diego de Siloe e Bartolomé Ordóñez. Di contro, artisti locali come i pittori Andrea da Salerno e Marco Cardisco o gli scultori Giovanni da Nola e Girolamo Santacroce vennero sollecitati a visitare Roma e qui elaborarono, a loro volta, un linguaggio ormai spiccatamente “moderno”.
Rinascimento al Sud
Matera, Palazzo Lanfranchi
fino al 19 agosto. Catalogo Artem
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