Il recente recupero del roseto sul Colle Palatino offre il destro per parlare di uno dei luoghi più affascinanti di Roma, e per rievocare la grande figura di Giacomo Boni (1859-1925), l’architetto-archeologo veneziano al quale si deve non solo il grandioso riordino degli scavi del Foro Romano e del Colle Palatino (operato ai primi del ’900), ma anche l’impianto del verde e della vegetazione all’interno dell’area, con il dichiarato intento di riproporre l’armonia che regolava l’alternanza di monumenti e spazi verdi già nelle epoche antiche.
Per Giacomo Boni la conservazione di un monumento archeologico non poteva prescindere dal contesto ambientale d’appartenenza. Per cui, una volta giunto a Roma con l’incarico di creare il parco del Foro Romano e del Palatino, affiancò alle ricerche archeologiche lo studio sistematico della flora antica. A tal fine setacciò le fonti letterarie greche e latine, catalogò le pitture antiche dove comparivano decorazioni o raffigurazioni di piante e fiori, studiò i resti vegetali che emergevano dalle terre di scavo, in particolare semi e tronchi d’albero carbonizzati. Queste ricerche lo portarono a comprendere che la materia botanica andava suddivisa in tre parti: esistevano tracce della flora originaria della penisola italiana (definita Flora di Evandro); esistevano reperti della flora diffusa in età romana (detta Flora Virgiliana); e infine si trovavano vistosi esempi di flora introdotta in Europa dopo la scoperta dell’America (Flora Colombiana), in particolare quella diffusa sul Palatino dai semi esotici donati da viaggiatori ed esploratori a papa Paolo III Farnese nel Cinquecento.
Studi così approfonditi permisero all’architetto-archeologo di fare le scelte adeguate nella selezione delle essenze da utilizzare per il parco archeologico, sia dal punto di vista storico che da quello estetico e pratico. Il problema di ombreggiare i viali e le rampe d’accesso, ad esempio, venne risolto con alberate di viburni e tigli, mentre le aree più soleggiate vennero riparate da lauri, mirti, pini e cipressi. Per le recinzioni parvero ottimi i bossi, i tassi e i biancospini.
Poi, venne la realizzazione del roseto. Qui Boni intese far rivivere lo splendore dei giardini imperiali che sappiamo lussureggiavano di rose, ma volle anche rievocare la meraviglia e le forme geometriche dei Horti impiantati in età rinascimentale, sulla stessa area, dalla potente casata dei Farnese, divenuta proprietaria dell’intero Colle Palatino.
Dopo anni di lavoro, nel 1922 il parco archeologico romano poteva dirsi completo. Boni decise di abitare accanto al “suo” roseto, e prese alloggio in una delle Uccelliere fatte costruire dai Farnese al limite del giardino. I giornali dell’epoca non mancarono di decantare il luogo: «La dimora di Giacomo Boni, l’antica Uccelliera Farnese, è limitata da rose bellissime, semplici come anemoni, di colore arancione allo sbocciare, che poi si fanno rosse e finiscono in un colore vivo purpureo. Multicolori piselli odorosi si frammischiano alle rose».
Per fortuna, questa sorta di Eden continua ad esistere per la gioia dei visitatori del Foro e del Colle. Dopo un primo rinnovo negli Anni Sessanta, il roseto è tornato nuovamente a risplendere di piante giovani e vigorose, che hanno sostituito quelle senescenti. Il Viridarium Palatinum - oggi composto da quasi 170 varietà inquadrate da siepi- è in grado di documentare l’intera storia delle rose, dalle più antiche (alba, damascena e gallica) fino alle rose cinesi, ovvero agli ibridi introdotti in Europa nel XVIII secolo con potenzialità sino ad allora sconosciute, come ad esempio la capacità di rifiorire senza interruzione nell’arco di tutto l’anno.
Dai primi di marzo del 2019, in questo profumato paradiso è stata messa a dimora una nuova rosa, chiamata Augusta Palatina. Quest’inedita varietà racchiude il patrimonio genetico delle più antiche rose conosciute, ed è frutto di un lavoro di sperimentazione durato otto anni e curato da Davide Dalla Libera, valente ibridatore italiano che si occupa della produzione di nuove varietà vegetali (principalmente rose) e della loro storia botanica. La Augusta Palatina si avvicina molto alla rosa rubra o rosa praenestina che si vede rappresentata, ad esempio, in un affresco del II-III secolo conservato nelle catacombe di Santa Priscilla a Roma. La rosa è stata appositamente realizzata per celebrare il recupero del roseto del Parco Archeologico e per commemorare Giacomo Boni, che sarà comunque protagonista - il prossimo anno - di una mostra monografica specifica. Intanto, sulla rosa Augusta Palatina è stato pubblicato anche un bellissimo libro, curato da Alfonsina Russo e Gabriella Strano, dal titolo Augusta Palatina. Regina tra le rose degli Horti Farnesiani (Electa, Milano, pagg. 112, € 25). Giacomo Boni sarebbe certamente felice dell’iniziativa, lui che amò così tanto il roseto palatino da farsi seppellire dentro: la sua tomba si trova qui, tra la rosa Madame Bray e la rosa Devoniensis.
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