A Roma, a poca distanza dalla basilica dei Ss. Giovanni e Paolo al Celio, una piccola chiesa, S. Tommaso in Formis, reca sul portale un sorprendente mosaico di forma tonda, eseguito attorno al 1210 dai famosi marmorari romani Cosmato. Il Cristo solenne che è assiso al centro stringe con la mano destra il braccio di un prigioniero bianco cristiano e con la sinistra un altro carcerato di pelle nera. Questa sorta di manifesto murale che apre l’orizzonte della redenzione destinandolo a tutti, cristiani e pagani, è l’emblema ideale di un Ordine religioso che allora si affacciava sulla tribuna della storia, in un momento particolarmente drammatico per la cristianità, quello dei Trinitari.
Il 2 ottobre 1187 Salah ad-Dîn («integrità della religione»), il celebre Saladino, sultano di Egitto – che Dante ha rappresentato «solo, in parte», cioè in fiero isolamento nel Limbo, nel «nobile castello» che ospita gli «spiriti magni» (Inferno, IV, 129) – aveva conquistato Gerusalemme, creando sconcerto e sdegno in tutta la Chiesa. È in questa cornice che si colloca l’imponente, accurata e originale ricerca che lo storico Giulio Cipollone, docente emerito di storia medievale dell’Università Gregoriana di Roma, presenta nelle pagine di un volume apparso in inglese e arabo. Il titolo è sorprendente ed evoca innanzitutto il comune linguaggio marziale sacrale che percorreva i documenti di papi e sultani, ma attesta anche la parallela aspirazione e azione per la solidarietà e la compassione.
Sorprendente è anche il fatto che l’opera di alta qualità storico-critica ma al tempo stesso di intensa leggibilità appaia presso un editore arabo che ha la sua sede principale al Cairo e una succursale a Bruxelles. Noi naturalmente facciamo riferimento all’edizione inglese che è intervallata da un suggestivo apparato iconografico affidato a manoscritti della Biblioteca Nazionale di Francia e dell’Archivio Segreto Vaticano (oltre che all’immagine musiva sopra descritta).
Lo studioso attraverso il suo raffinato e interessante scavo documentario delinea davanti al lettore un quadro storico, religioso e giuridico che, nonostante l’ampia differenza delle coordinate cronologiche, costituisce ancor oggi un paradigma per molti versi attuale. Il confronto tra cristianità e islam, infatti, con l’oscillazione tra la brutalità di un duello aggressivo e il tentativo di un duetto dialogico si ripresenta ai nostri giorni coinvolgendo nuovamente queste due culture e le rispettive fedi. La straordinaria suggestione che produce il saggio, molto vasto, è proprio basata su un contrappunto. Attraverso la multiforme analisi dei manoscritti e degli eventi da cui fioriscono, Cipollone mette in scena le due visuali storico-religiose: la complessa cristianità medievale da una parte, e la variegata comunità musulmana dall’altra.
Si crea, così, una duplice e complementare prospettiva di lettura che, libera da stereotipi o da tentazioni apologetiche, delinea una sorta di grande affresco che non ignora anche le scene minori. In esso avanza la figura di Innocenzo III, Lotario dei conti di Segni, certamente uno dei grandi papi medievali, celebrato allora enfaticamente come un novello Salomone, in omnibus gloriosus, come lo definiva un contemporaneo. Egli si era insediato sul trono pontificio il 22 febbraio del 1198, ed è rimasto nella memoria popolare per quel suo sogno nel quale il frate Francesco d’Assisi sorreggeva la Chiesa vacillante sulle sue spalle, una scena immortalata da Giotto nella Basilica Superiore di Assisi. Gli esordi dei Frati minori e dei Domenicani si collocano appunto durante il suo papato che durerà per otto anni fino al 16 luglio 1216.
Ma Cipollone lo introduce per un’altra sua scelta, quella dell’approvazione dell’Ordine dei Trinitari sopra citato, avvenuta nello stesso anno della sua ascesa al soglio di Pietro. Si trattava inizialmente di un gruppo libero che aveva come capo carismatico Giovanni de Matha, un magister theologus, quindi un intellettuale di origine provenzale (era nato a Faucon nel 1160), morto a Roma nel 1213. La sua esperienza, però, lo aveva condotto a entrare nel terribile problema dei prigionieri cristiani e musulmani, frutto degli scontri di quel periodo. Nasceva, così, un inatteso ordine religioso disarmato, radicalmente diverso dai sontuosi e ben equipaggiati ordini cavallereschi: esso aveva come rimando solo la Trinità, come emblema la croce rossa e cerulea sul petto dei suoi membri e come cavalcatura l’asino, che nella Bibbia era il simbolo pacifico del re messianico (Zaccaria 9,9-10; Matteo 21,5).
La missione dei suoi adepti era quella di mediare la liberazione dei prigionieri o il loro scambio, favorendo le trattative di pace e le tregue. In un’epoca di feroci tensioni ove alle conquiste militari musulmane si opponevano le crociate, i Trinitari costituivano un’inattesa e coraggiosa presenza di umanità e di pace, una spina nel fianco della violenza che allora dilagava. Ad avallare questo progetto, che sembra respirare quasi in anticipo lo spirito dei nostri giorni introdotto da papa Francesco, ci fu un altro pontefice, Innocenzo III appunto. Egli, in realtà, aveva una diversa sensibilità, espressa attraverso gli appelli alla crociata per la liberazione di Gerusalemme, la quarta avviata con vigore nel 1198 e conclusa in modo fallimentare nel 1204 (con la presa non della città santa ma di Costantinopoli!). Nel 1213, tre anni prima della sua morte avvenuta a Perugia, aveva bandito una nuova crociata, che aveva cercato di porre anche all’attenzione degli oltre quattrocento vescovi riuniti nel Concilio Lateranense IV del 1215, ma di cui non vide l’attuazione.
Eppure, come dimostra la ricerca condotta da Cipollone, questo stesso papa a prima vista così battagliero e proteso verso la liberazione della Terrasanta, aveva elaborato una “politica estera” molto più articolata che non esitava a imboccare la via della trattativa coi musulmani, così da ottenere il rilascio di prigionieri e stabilire periodi di tregua. Non per nulla il sottotitolo, più didascalico, del saggio suona così: Tolerance and the humanitarian Way at the time of Jihad and the Crusades: a new outlook on “the Other”. È in questo suo programma, così variegato, che si inseriva la presenza efficace dei Trinitari con le loro scelte di carità e di confronto pacifico, raffigurate simbolicamente proprio nel mosaico da cui siamo partiti per questa nostra essenziale recensione. Il testo di Giulio Cipollone offre, però, un tracciato storiografico ben più grandioso che il lettore seguirà in una sorta di ritorno a un passato tutt’altro che sepolto. Come dicevamo e come si può facilmente intuire, in quegli eventi remoti – sia pure in contesti e tipologie differenti – si intravedono esperienze e vicende che stiamo ora vivendo.
È, quindi, un appello a salire il sentiero d’altura di un confronto paziente e talora nascosto con la presenza di un islam che interpella spesso aspramente una cristianità non di rado incolore. Essa, per sopravanzare le voci sgangherate dei populismi o di chi propone ancora guerre di religione o di civiltà, ha bisogno di persone capaci di imitare quei Trinitari che “in nome di Dio” avevano optato di avviarsi sulla strada della redenzione, dell’incontro, del dialogo paziente e generoso.
Un Ordine religioso che ancor oggi vive e opera, e reca nel suo titolo ufficiale latino la missione della redenzione degli
schiavi. Essa è tutt’altro che una reliquia di un passato remoto, consapevoli come siamo delle nuove terribili e implacabili
schiavitù che colpiscono popoli in miseria, donne votate alla tratta per la prostituzione, bambini-soldato o precoci lavoratori
e così via. La denominazione dell’Ordine suona, infatti, in latino così: Ordo Sanctissimae Trinitatis et Captivorum.
When a Pope and a Sultan spoke the same language of war, Giulio Cipollone, Mahjar, Cairo – Bruxelles, pagg. 654, s.i.p.
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