Notizie EuropaSe conta solo la «gaspolitik»
Se conta solo la «gaspolitik»
di Sissi Bellomo | 21 febbraio 2014
Percorsa da 40mila chilometri di tubi, tra gasdotti e oleodotti, l'Ucraina ha un ruolo centrale nello scacchiere energetico europeo: un ruolo tutt'altro che estraneo alle vicende di questi giorni.
Di fronte alle notizie sempre più drammatiche in arrivo da Kiev, il tema è rimasto sullo sfondo. Ma la possibilità che una guerra civile nel Paese provochi scossoni al sistema europeo di approvvigionamento del gas non è da escludere. L'ha riconosciuto anche l'amministratore delegato dell'Enel, Fulvio Conti, in una battuta raccolta al volo dalle agenzie di stampa: «Le crisi del passato sono avvenute per ben meno di quello che sta accadendo oggi».
Conti si riferisce alle cosiddette "guerre del gas" del 2006 e del 2009: conflitti virtuali, non certo cruenti come gli scontri che in queste ore insanguinano l'Ucraina. Ma che, in pieno inverno, crearono serie difficoltà per i rifornimenti di molti Paesi europei, compresa l'Italia, che pure dispone di opzioni alternative. Il territorio ucraino, percorso da un reticolo di pipelines, è tuttora cruciale per trasportare il gas (e in parte anche il petrolio) della Russia, che a sua volta è il maggior fornitore dell'Europa, con una quota di mercato superiore al 25 per cento.
Sono state le infinite dispute sui prezzi del gas a provocare in passato le ritorsioni di Mosca contro Kiev: improvvise interruzioni dei transiti nei gasdotti, che finivano per strangolare non solo l'Ucraina. I contratti per le forniture di gas russo sono stati l'appiglio per l'arresto dell'ex premier Yulia Tymoshenko, eroina della Rivoluzione arancione. Ed è intorno al nodo centrale dell'energia che si è giocato il braccio di ferro tra Russia e Unione europea, ciascuna impegnata ad attirare Kiev nella propria orbita.
Ha vinto Mosca, come si sa, grazie a un'offerta alla quale il governo ucraino non ha saputo (o voluto) resistere: un finanziamento da 15 miliardi di dollari, per salvare le finanze disastrate dello Stato, ma anche un super-sconto proprio sul prezzo del gas, sceso da 400 a 268,5 dollari per mille metri cubi. Gli accordi, sottoscritti solo due mesi fa, sono già stati definiti «provvisori» dalla Russia, che li sta utilizzando come arma di pressione diplomatica. Ma dalle schermaglie politiche si è ormai passati alla violenza, con lo scontro Mosca-Bruxelles messo in scena per interposta persona, da manifestanti ed esercito ucraino, nelle strade di Kiev.
L'Europa rischia adesso una destabilizzazione ben più pericolosa di quanto non sarebbe un'interruzione delle forniture di gas via Ucraina. D'altra parte la chiusura dei rubinetti è un'ipotesi remota: al Cremlino per il momento basta minacciare un nuovo rialzo dei prezzi o – meglio ancora – dilazionare ancora l'elargizione degli aiuti a Kiev. Quanto al rischio di danni materiali ai gasdotti o agli oleodotti, questo diventerebbe concreto solo se la situazione in Ucraina degenerasse ulteriormente, conducendo a una guerra civile estesa a tutto il territorio: uno scenario stile Jugoslavia, che peraltro alcuni analisti stanno già delineando.
Ben più verosimile è la possibilità che si interrompa il commercio di altri beni, diversi dal gas. Il problema non sono tanto le sanzioni, che sembrerebbero mirate a colpire singoli individui o entità, quanto la difficoltà nell'ottenere crediti dalle banche o nell'assicurare le merci per l'export. Già da qualche giorno si segnala la paralisi quasi completa delle esportazioni di cereali dall'Ucraina, nonostante i disordini non abbiano sfiorato i porti sul Mar Nero. Alla lunga potrebbe diventare un problema, considerato che l'Ucraina – ex granaio dell'Urss e oggi granaio d'Europa – è il secondo produttore di cereali al mondo, alle spalle degli Usa, e un fornitore sempre più importante anche per l'Italia.