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Il riscatto della «Campania fertilis»

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Questo articolo è stato pubblicato il 04 ottobre 2010 alle ore 15:09.

Nei primi anni 90, quando era ancora vivo don Peppe Diana, i camorristi di Casal di Principe scaricavano ogni notte tonnellate di deiezioni di bufale davanti alla casa del sindaco Renato Natale, un medico che aveva osato sfidarli intitolando una piazza alla legalità.
Quasi diciotto anni dopo, la camorra di Sessa Aurunca, una trentina di chilometri più a nord di Casal di Principe, si libera nottetempo del percolato accumulato negli autocompattatori del Comune nel piazzale antistante la Cleprin, un'azienda chimica persa nella campagna di quella che i latini avevano fregiato del titolo di Campania fertilis. Così puniscono un imprenditore che non si è piegato al taglieggiamento.

A corto di aggettivi
Se Napoli è rimasta a secco di pane e speranza, Caserta e la sua provincia sono a corto di aggettivi. In un arco di tempo di quasi vent'anni, un prete ammazzato dalla camorra e un ex sindaco erano i bagliori di una possibile rinascita. Una mattina d'inverno del 2008, si è aggiunto un imprenditore «fascista, cristiano e iperlegalitario», come si autodefinisce, che di nome fa Antonio Picascia, il lievito di un'opposizione sempre più diffusa della società civile contro la prepotenza criminale.
Un giorno qualsiasi di due anni fa bussano alla sua azienda l'ingegnere capo del Comune di Sessa Aurunca e il fratello del boss locale, gli Esposito. L'ordine perentorio dell'alto dirigente comunale è quello di assumere "nù bravo guaglione", cioè il fratello del capo clan che lo accompagna. Picascia non temporeggia, non ci pensa su, non media: li manda a quel paese, prende l'auto e guadagna la prima stazione dei carabinieri per stendere regolare denuncia di tentata estorsione. Le forze dell'ordine agiscono rapidamente: arrestano l'ingegnere capo, così come il fratello del camorrista. L'imprenditore li riprende con le telecamere fisse qualche minuto dopo averli cacciati. Il fratello del boss con il berretto di lana calato in testa, l'ingegnere con il cappellino impermeabile chiacchierano in strada. Il camorrista fa dei gesti eloquenti con il braccio puntato minacciosamente in direzione delle finestre degli uffici. Il labiale coincide con l'espressione arrabbiata di chi dice: "Varda stu str…". L'ingegnere annuisce e sembra che dica: "'A da pavà". In qualche modo ci prende. L'imprenditore iscritto a Confindustria non si aspettava un'ovazione, ma qualche gesto di solidarietà. Tra Sessa e Cellole, il paese dove abita, lo conoscono tutti. Per dodici anni è stato presidente del circolo prima dell'Msi e poi di Alleanza nazionale. Sono gli anni in cui fa carriera il leader di An - è di Mondragone - Mario Landolfi. Pure lui, come il casalese Nicola Cosentino, coordinatore regionale del Pdl e indagato per camorra.

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Una vivacità disordinata da governare

Conosciuta soprattutto per la grande reggia, Caserta è oggi la punta nord di una grande area

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L'imprenditore annuisce: «Sono spariti tutti: il sindaco, il parroco, la società civile, persino le polisportive che un giorno sì e l'altro pure facevano piovere alla Cleprin le richieste per la sponsorizzazione di rito». Picascia in questi lunghi anni ha elaborato una personale teoria: «A Caserta non è assente lo stato: prefettura, questura e carabinieri si sono mossi con grande professionalità e umanità. Qui è assente la richiesta di stato. Tutti, anche molti amici cari, mi rimproverano di aver affrontato la questione di petto, con troppa decisione. Un amministratore locale mi ha detto una frase che trovo ripugnante: «Tu hai portato la camorra a Cellole!». La camorra qui c'è da secoli, ma finché nessuno ne parla è come se non esistesse».
La prova che la camorra non dimentica arriva nell'agosto di quest'anno, quando le telecamere della Cleprin, malgrado l'azienda sia chiusa per ferie, riprendono i camion della nettezza urbana di Sessa Aurunca che per quattro notti di fila si fermano davanti ai cancelli e scaricano quel liquido nerastro che prima si raccoglie in una pozza e poi penetra nel terreno. È lo stesso trattamento riservato al sindaco Natale dai casalesi. Picascia la prende con filosofia: «Tentano di isolarmi, ma vado avanti per la mia strada». Il coraggio dell'imprenditore chimico è frutto di un ragionamento lucido che registra un recupero lento ma costante da parte dello stato, delle istituzioni, dei cittadini.
Le prove sono tante. Da Sessa Aurunca in direzione di Napoli si percorre il litorale domitio, la rappresentazione di un girone infernale che nel 2008 inghiottì sei uomini di colore trucidati come boss dai casalesi. Da allora pattuglie dell'esercito e delle forze dell'ordine setacciano giorno e notte chilometro dopo chilometro. Il resto l'ha fatto l'applicazione del contratto di programma firmato nel 2003 dalla famiglia Coppola - i costruttori del celeberrimo e iperabusivo Villaggio Coppola - e lo stato. L'intesa prevedeva la riqualificazione della domitiana, che ora mostra uno spartitraffico con aiuole perfettamente tagliate, un'illuminazione pubblica degna di questo nome e la recinzione, con parziale videosorveglianza, della bellissima pineta di 55 ettari dove in passato si rifugiavano prostitute e spacciatori di colore.
Racconta Paolo Verdicchio, comandante della Guardia forestale di Castelvolturno: «L'inizio dei pattugliamenti serrati, cominciati dopo la strage degli africani del 18 settembre, sono stati un incubo: otto vetture su dieci che fermavamo per i controlli risultavano rubate o senza assicurazione e bollo. Per mesi e mesi abbiamo sequestrato centinaia di vetture, una decisione che comporta un lavoro burocratico lungo tre giorni: denuncia, arresto del conducente e sequestro del mezzo. Poi, quando gli automobilisti si sono resi conto che lo stato non li avrebbe più mollati, sono calati drasticamente i ladri di automobili e le violazioni al codice della strada».

La buona alleanza
Lo stato è tornato e i risultati si vedono a occhio nudo. Bonificare luoghi ritenuti off limits è possibile. L'alleanza tra uomini di buona volontà e lo stato può arrivare a risultati impensabili. Si potrebbe fare di più, ovvio. A Castelvolturno ci sono un comandante della forestale e tre agenti scelti, due sono donne, con una sola jeep Defender vecchia di 11 anni e una Panda fuori uso. A loro tocca la sorveglianza di 26 comuni e 354mila abitanti. Malgrado agli uomini che fanno capo al ministero dell'Agricoltura spetti anche la consegna degli atti giudiziari («Un lavoro estenuante nei paesi attorno a Casal di Principe - dice Verdicchio -. Gli abitanti ci negano persino le indicazioni stradali»), il gruppo di Castelvolturno ha scoperto due cimiteri clandestini con un centinaio di bufalotti maschi appena nati. Per produrre latte le quasi 800 aziende bufaline della zona hanno bisogno solo delle femmine. Così c'è chi si libera dei capi maschi - sono rifiuti speciali - violando la legge.
Un prete morto ammazzato nel '94, don Peppe Diana, un ex sindaco di Casal di Principe, un imprenditore e un capitano della Forestale nato al confine tra la provincia di Caserta e Benevento e i suoi agenti. E poi i carabinieri del nucleo operativo ecologico che con elicotteri sofisticatissimi hanno effettuato rilevazioni aerofotogrammmetriche di ogni metro di sottosuolo di questa provincia alla caccia dei rifiuti tossici, così come è impossibile non citare le denunce contro la corruzione politica del vescovo emerito di Caserta, il friulano Raffaele Nogaro, ormai casertano acquisito.

Germogli di rinascita
Il bene è contagioso. I germogli della rinascita sbocciano pure a Camigliano, paesino di 1800 abitanti guidato fino alla fine di settembre da Vincenzo Cenname, un ingegnere di 38 anni seguace di don Ciotti che vince le elezioni del 2007 e nel giro di qualche anno diventa uno dei migliori testimonial dei comuni virtuosi italiani: differenziata quasi al 70%, stop al consumo di suolo, grandi aree verdi destinate a parco giochi, raccolta porta a porta persino dell'olio che si usa per cucinare poi trasformato in biodisel, ricompensa ai bambini che smaltiscono lattine e plastica con gli ecoeuro spendibili nelle cartolerie del paese. Cenname rivoluziona Camigliano con il consenso compatto dei cittadini, ma proprio qualche settimana fa decide di opporsi al passaggio dei poteri in materia di rifiuti dai comuni alla provincia, come previsto dalla legge Bertolaso di due anni fa. Le sue previsioni sono fosche: «Se mettono fuori gioco i comuni, la raccolta dei rifiuti e la differenziata ripiomberanno di nuovo nel caos».
La legge è legge, e il prefetto, forse troppo frettolosamente, ha rimosso Cenname dall'incarico di primo cittadino. Camigliano è un paese pulito e a impatto zero. Almeno fino a oggi. Il resto della provincia non può vantare gli stessi risultati.
In principio erano don Peppe Diana e Renato Natale, che continua instancabile ad assistere gli immigrati di Castelvolturno. A loro si sono affiancati uomini come Picascia, Verdicchio, Cenname e le migliaia di cittadini casertani che li sostengono. È la prova provata che le cose possono cambiare, anche e soprattutto nella terra di Gomorra.

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