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La disunione bancaria europea

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IL PROBLEMA DELL'EUROZONA

La disunione bancaria europea

L'euro aveva l'obiettivo di integrare i mercati, ma con l'inizio della crisi del 2008 questi hanno incominciato a rinazionalizzarsi. L'eurozona cambierà se prevarrà la rinazionalizzazione o l'integrazione. Entrambi gli scenari sarebbero preferibili a una soluzione né carne né pesce. Malauguratamente sembra questa la direzione.
Dalla fine del boom del credito nel 2008, l'esposizione transfrontaliera delle banche del cuore dell'eurozona (Germania e Paesi vicini) verso la zona periferica è precipitata da 1.600 miliardi di euro a meno della metà. L'andamento potrebbe continuare fino a quando l'esposizione transfrontaliera non diventerebbe così esigua da non essere più sistemicamente rilevante, come prima dell'euro. Al ritmo attuale ciò potrebbe verificarsi nel giro di qualche anno e l'integrazione finanziaria ne uscirebbe sfilacciata.

Ufficialmente la rinazionalizzazione suona come un anatema, però ha i suoi vantaggi. Quando il debito transfrontaliero è basso, l'impatto degli shock nazionali sul sistema è minore. Il default di un istituto bancario di un Paese non provocherebbe una crisi fuori dal Paese: le perdite si fermerebbero alla frontiera. Adesso i sistemi bancari nazionali si possono separare più facilmente perché i conti correnti dei Paesi periferici hanno raggiunto un certo equilibrio e nel 2014 tutti i Paesi a eccezione della Grecia dovrebbero registrare una modesta eccedenza estera e, sempre a eccezione della Grecia, i Paesi periferici non avranno bisogno di flussi di capitale in un futuro prossimo. Solo pochi anni fa, Paesi come la Spagna e il Portogallo avevano grossi disavanzi e necessitavano di un afflusso di capitali pari al 10% del Pil, il crollo del prestito bancario transfrontaliero è stato traumatico per loro. Tuttavia, con le eccedenze delle partite correnti, la rinazionalizzazione del sistema bancario può rappresentare una forza stabilizzatrice. Non è una proposta teorica. I risparmiatori italiani per esempio possiedono un volume significativo di asset stranieri (fra cui bond tedeschi). E gli investitori stranieri detengono una quota ragguardevole di buoni del tesoro italiano. Ma i tassi d'interesse sui buoni del tesoro italiani a lungo termine (e i costi dell'indebitamento privato in Italia) sono più alti di circa 250 punti base rispetto agli equivalenti tedeschi. Con una rinazionalizzazione totale, gli investitori italiani venderebbero i loro asset stranieri per acquistare titoli italiani e questo proteggerebbe l'Italia dagli shock finanziari esterni e diminuirebbe il peso dei tassi di interesse. E poi ci sono i buoni del tesoro italiano in mano agli stranieri per un valore equivalente al 30% circa del Pil. Se questi titoli fossero acquistati da investitori italiani (che a loro volta dovrebbero vendere l'equivalente dei loro asset stranieri), gli italiani risparmierebbero qualcosa come lo 0,73% del Pil. Il rischio di premio che il governo dovrebbe pagare non andrebbe più a stranieri, ma ai risparmiatori italiani incrementando il loro reddito. Inoltre, se tutti gli italiani sostenessero il debito pubblico, qualsiasi aumento del premio di rischio sarebbe meno gravoso. Anche se il premio di rischio raddoppiasse a 500 punti base, i costi del debito dello Stato aumenterebbero, ma almeno i soldi andrebbero a investitori italiani (l'aumento di reddito potrebbe essere tassato).

Lo scenario opposto è l'integrazione. Un'unione bancaria rilancerebbe e stabilizzerebbe il prestito transfrontaliero: le istituzioni comuni assorbirebbero gli shock nazionali. I tassi di interesse convergerebbero verso un livello più basso rilanciando la ripresa nella periferia dell'eurozona e facilitando la stabilizzazione delle finanze. Purtroppo è improbabile che un'unione bancaria si concretizzi in tempi brevi. Gran parte dei governi si oppone a un «meccanismo unico di risoluzione»: significherebbe non poter più controllare le proprie banche. L'assicurazione dei depositi non è nemmeno presa in considerazione, poi ci sono gli ostacoli legali e politici. Fino a quando i sostegni fiscali alle banche resteranno nazionali, non ci sarà un equo terreno di gioco. Con questo scenario, l'integrazione potrebbe prendere la forma di una «colonizzazione» sotto la quale le banche dei Paesi forti approfitterebbero dei costi più bassi del capitale per rilevare le banche dei Paesi più deboli. Persino nell'eventualità che la colonizzazione non incontrasse resistenze, non porterebbe a un sistema bancario molto efficiente.
Così l'eurozona rischia di impantanarsi in un instabile statu quo con un'esposizione transfrontaliera abbastanza alta da ripercuotere gli shock nazionali in tutto il sistema, ma con un'integrazione finanziaria non ancora abbastanza forte da garantire la libera circolazione del capitale. Se l'unione bancaria dovesse rivelarsi irrealizzabile, sarebbe preferibile che la rinazionalizzazione facesse il suo corso, almeno così l'eurozona guadagnerebbe un po' di stabilità.

(Traduzione di Francesca Novajra)
© Project Syndicate, 2013

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