Cominciamo dicendo una cosa: la Francia ha dei problemi. La disoccupazione è alta, specialmente fra i giovani, molte piccole imprese faticano a tirare avanti, la popolazione invecchia (anche se molto meno di tanti altri Paesi, a partire dalla Germania).
Tuttavia, in base a quasi tutti i dati che riesco a trovare, la Francia non sembra passarsela troppo male per i canoni europei: il prodotto interno lordo è tornato più o meno ai livelli antecrisi, il deficit è piuttosto contenuto, le prospettive del debito pubblico nel medio termine non destano preoccupazione, l'andamento dei conti pubblici nel lungo termine appare abbastanza promettente rispetto ai Paesi vicini, grazie a un tasso di natalità più elevato.
Eppure il Paese è oggetto di commenti ingiuriosi, sopra le righe. L'anno scorso l'Economist dichiarava che la Francia era «la bomba a orologeria nel cuore dell'Europa». Qualche mese fa Shawn Tully, redattore di CNN Money, ha scritto che la Francia era in «caduta libera».
Tully è entrato anche nel dettaglio, sostenendo che la Francia deve fare i conti con un «divario di competitività che si sta allargando», a causa dell'aumento del costo del lavoro. Davvero? Guardando i dati della Commissione europea esce fuori che sì, un piccolo deterioramento in questo senso c'è stato rispetto agli altri Paesi della zona euro, ma si parla di poca cosa.
Tully ha dichiarato anche che «l'esempio più evidente del declino della Francia è il rapido deterioramento del suo commercio estero: nel 1999, la Francia vendeva circa il 7 per cento delle esportazioni mondiali; oggi vende poco più del 3 per cento ed è un dato in rapido calo».
Ma quasi tutti i Paesi avanzati, a partire dagli Stati Uniti, hanno visto ridursi la loro quota dell'export mondiale (la Germania fa eccezione): uno studio della Federal Reserve di New York pubblicato lo scorso anno sottolinea che questo calo è più o meno in linea con la contrazione della quota delle economie avanzate sul Pil mondiale, in seguito all'ascesa dei Paesi emergenti, e la Francia non si discosta granché dalle altre.
Non sto dicendo, lo ripeto, che la Francia non abbia problemi. La domanda è perché i downgrade delle agenzie di rating e tutta questa retorica apocalittica si concentrino su una nazione in difficoltà sì, ma moderatamente.
La risposta è semplice: è una questione politica. Il peccato della Francia non è un debito eccessivo, una crescita economica particolarmente scarsa, una produttività scadente (dal 2000 a oggi è stata più o meno uguale a quella tedesca), una crescita insoddisfacente dell'occupazione (come sopra) o altro del genere. Il suo peccato è aver rimesso in ordine i conti pubblici alzando le tasse invece che tagliando lo Stato sociale, cosa che il Governo di Parigi è contrario a fare. Non c'è nessun dato che dimostri che si tratta di una politica disastrosa (e infatti i mercati dei titoli di Stato non sembrano preoccupati): ma a che servono i dati?
(Traduzione di Fabio Galimberti)
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