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In economia, vecchie esigenze tornano d'attualità

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In economia, vecchie esigenze tornano d'attualità

Recentemente Mike Konczal, del Washington Post, ha detto una cosa molto acuta sul modo di insegnare l'economia. Ha suggerito di tornare a fare come fece Paul Samuelson nel 1948, quando scrisse la prima versione del suo famoso manuale: prima la macroeconomia, poi la microeconomia. In questo modo, spiega Konczal, gli argomenti trattati sarebbero gli stessi, ma gli studenti avrebbero una visione più chiara della realtà.
Io aggiungerei che i motivi che avevano spinto Samuelson a raccontare l'economia in quell'ordine sono validi oggi come lo erano allora. Nel 1948 il ricordo della Grande Depressione era ancora fresco: gli studenti volevano sapere com'era potuta accadere una cosa del genere. Come convincerli a prendere sul serio tutte quelle storie sulla perfezione dei mercati dopo quello che era appena successo? L'unico modo era cominciare insegnandogli che la politica monetaria e di bilancio poteva essere usata per garantire la piena occupazione.

Dopo sei anni dall'inizio della Grande Recessione e della (non tanto grande) ripresa, tutto questo torna di attualità. Ma la soluzione proposta da Konczal presenta qualche difetto: una parte di quello che fece Samuelson nel 1948 oggi non è replicabile.

Samuelson apportò alla scienza economica una duplice innovazione: macroeconomia keynesiana più un nuovo orientamento in favore di modelli matematici. All'epoca le due cose andavano a braccetto e si rafforzavano a vicenda: l'evidente successo della macroeconomia keynesiana, orientata ai modelli matematici, sgominò gli istituzionalisti. Oggi gli economisti maggiormente inclini a una visione del mondo filtrata da una nebbia di equazioni nella maggior parte dei casi sono visceralmente ostili a qualsiasi teoria macroeconomica che riesca a dare un senso alla recente crisi.

Inoltre, all'epoca Keynes era nuovo e innovativo. Oggi, generazioni intere di economisti sono cresciute nella convinzione che le teorie macroeconomiche keynesiane siano sbagliate: in realtà non sanno che cosa dicono queste teorie, ma questo è quello che gli hanno insegnato.

Infine, se la teoria microeconomica trova giustificazione nella tesi che le politiche pubbliche possono più o meno garantire la piena occupazione, dove si trova un esempio del genere nel mondo di oggi? Insomma, Konczal ha ragione su quello che dovremmo fare. Ma non succederà.

Il problema dell'economia sono gli economisti
È quello che ha detto, in sostanza, Simon Wren-Lewis in un recente post online in difesa della teoria economica standard. E io, in sostanza, concordo con lui.
È estremamente ingiusto scaricare la colpa della crisi, o dell'inadeguatezza della risposta alla crisi, sulla teoria economica standard. La mania per la deregolamentazione della finanza, ad esempio, non è un prodotto dell'analisi economica predominante, anzi era clamorosamente in contraddizione con il modello canonico delle crisi bancarie, che rimarcava l'importanza fondamentale delle garanzie pubbliche per impedire crisi di panico che si autoalimentavano, e la necessità di una regolamentazione per tenere sotto controllo l'azzardo morale che viene a crearsi per effetto di queste garanzie. È vero che pochi economisti si sono accorti dell'ascesa del settore bancario ombra, che aggirava le tradizionali misure di controllo, ma questa è stata una mancanza della vigilanza, non un difetto della teoria.

Qualche responsabilità in più la porta la teoria dei mercati efficienti, per l'incapacità di troppi economisti di accorgersi per tempo della bolla immobiliare, ma i manuali di economia hanno sempre presentato questa teoria come un'ipotesi di lavoro, non come una verità rivelata.

Quanto alla risposta alla crisi, la cosa significativa è stata la determinazione delle autorità a fare il contrario di quello che avrebbero dovuto fare secondo i manuali di economia. Tagliare la spesa quando i tassi di interesse sono a zero, cogliere la minima occasione per alzare i tassi: questo non significa applicare l'ortodossia economica. La cosa davvero straordinaria è stata vedere la proliferazione di modelli inventati di fresco per giustificare il fatto che stavamo facendo l'esatto contrario di quello che raccomandava la scienza economica di base.

Naturalmente non si è trattato soltanto di funzionari politici ignoranti o cocciuti che non tengono conto della saggezza degli economisti: tanti studiosi illustri sono stati fin troppo lieti di voltare le spalle alla teoria economica standard, anche se si dimostrava più che accurata, in nome delle loro preferenze politiche.

E questo a mio parere è un segnale che c'è qualcosa che non va nella struttura della professione. Non abbiamo bisogno di teorie economiche diverse, abbiamo bisogno di economisti diversi.
(Traduzione di Fabio Galimberti)

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