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L'Fmi va riformato, Obama ci creda di più

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il sostegno agli stati in difficoltà

L'Fmi va riformato, Obama ci creda di più

WASHINGTON, DC – Il Fondo monetario internazionale è un'organizzazione estremamente utile, in grado di fornire cospicui aiuti finanziari e tecnici con breve preavviso e a ogni zona del mondo o quasi. Ha anche l'enorme vantaggio di essere considerata pressoché sempre inverosimilmente tediosa.

Purtroppo, l'Fmi necessita quanto prima di un profilo pubblico leggermente migliore se intende convincere il Congresso degli Stati Uniti a varare alcune riforme importanti. La crisi ucraina potrebbe rivelarsi proficua da questo punto di vista – anche se ora sembra meno probabile –, e questa potrebbe essere una cosa positiva nella misura in cui una delle conseguenze non intenzionali potrebbe essere un prestito all'Ucraina maggiore rispetto a ciò che le serve davvero.

Nell'ambito dell'economia internazionale, essere considerati tediosi conferisce potere, in quanto consente di prendere decisioni di somma importanza senza essere troppo soggetti a controlli esterni. Dal 1918 al 1939 la cooperazione economica internazionale fu difficile da ottenere, in buona parte perché quasi tutti gli accordi che si cercò di stringere furono messi a punto in conferenze internazionali di alto profilo. In seguito alla creazione dell'Fmi nel 1944, molte di quelle medesime decisioni divennero routine, molto meno interessanti, molto più facilmente attuabili.

Negli Stati Uniti e in altri grandi Paesi si parla di rado dell'Fmi sulle prime pagine dei giornali, tranne quando c'è una notizia veramente interessante al riguardo di un personaggio di primo piano. L'ultima volta che si è letto qualcosa sul Fondo è stata nel maggio 2011, quando l'allora direttore generale Struss Khan fu costretto a dimettersi dalle sue funzioni in seguito all'accusa di aggressione sessuale a una dipendente di un albergo newyorchese.
Da allora, il suo successore Christine Lagarde ha contribuito a ridare smalto alla reputazione del Fondo, e a far sì che la copertura delle notizie dei suoi programmi e delle sue attività da parte dei giornali scivolasse nelle asciutte e distaccate pagine degli affari. (Quando lavorai all'Fmi, negli anni Duemila, il fatto che la terza pagina dei giornali più importanti si occupasse di noi in genere era considerato preferibile alla migliore collocazione pubblicitaria possibile.)
Naturalmente, nei Paesi che ricevono aiuti economici, come la Grecia negli ultimi anni, l'Fmi suscita vivo interesse. Ma nelle sale del Congresso Usa ben pochi vi prestano attenzione.

Senza dubbio, quasi sempre questo costituisce un vantaggio nel clima di Washington D.C, fortemente animato e surriscaldato da spirito partitico. Provate a immaginare che accadrebbe se la concessione di qualsiasi tipo di aiuto economico ai Paesi in difficoltà dovesse passare per l'approvazione del Congresso, per non dire da un sostegno diretto dal bilancio Usa: non ne uscirebbe nulla di buono. Di certo non per gli Usa.
L'Fmi si basa sul presupposto di rappresentare la cooperazione tra tutti i paesi del mondo. In realtà, l'Fmi appoggia ed esprime in termini operativi la potenza statunitense, in collaborazione con i più stretti alleati americani.
Chiunque dubita di ciò dovrebbe esaminare una lettera redatta di recente dalla Commissione Bretton Woods e indirizzata ai leader del Congresso a nome di un'impressionante sfilza di ex segretari di gabinetto repubblicani e democratici: nel primo paragrafo si legge che "l'Fmi è sempre stato un valido strumento per far avanzare gli interessi nazionali degli Usa a livello globale".
Gli Stati Uniti non impongono ciò che si decide all'Fmi, ma vi hanno un'influenza eccessiva. Tenuto conto delle origini del Fondo nell'aiuto per la ricostruzione dell'Europa dopo la Seconda guerra mondiale, i Paesi europei sono molto ben rappresentati nel suo Consiglio esecutivo e in termini di quote di partecipazione (e di conseguenza in termini di peso nel voto su decisioni importanti).

Uno degli obbiettivi più importanti degli ultimi decenni è quello di allontanare in qualche modo dall'Europa, verso i mercati emergenti mondiali, la rappresentanza all'Fmi. L'importanza economica e finanziaria globale di questi Paesi è cresciuta rapidamente, eppure al Fondo godono di una rappresentanza relativamente esigua.
Si è concordato un pacchetto di riforme che, come la maggior parte di ciò che è frutto di trattative internazionali, non può dirsi perfetto, per quanto costituisca in ogni caso un passo avanti. (Per i dettagli tecnici, raccomando di leggere questo recente articolo di Edwin M. Truman, mio collega presso il Peterson Institute for International Economics.)
Prima che queste riforme possano entrare in vigore, dovranno essere approvate sotto forma legislativa dal Congresso degli Stati Uniti. Per qualche motivo, l'Amministrazione del presidente Barack Obama non ha insistito molto su questo punto nel 2013 e all'inizio del 2014, e di conseguenza in agenda l'ulteriore riforma dell'Fmi langue.
L'Amministrazione Obama ha proposto di collegare la riforma dell'Fmi all'approvazione che si ritiene imminente da parte del Congresso di uno stanziamento di fondi per l'Ucraina. Si tratta di una tattica legislativa sensata, ma non allettante quanto una strategia economica. In effetti, l'Amministrazione ha cercato di rendere l'Fmi più interessante, soprattutto per incoraggiare i repubblicani alla Camera dei rappresentanti a sostenere le riforme.

Dagli ultimi segnali risulta che i repubblicani non ne sono così attratti. Ma il problema maggiore è che l'Ucraina non ha davvero bisogno di un prestito consistente dall'Fmi. Ciò di cui l'Ucraina necessita è una riduzione consistente della corruzione, come pure di una reale legittimità (passando per le urne) per coloro che vogliono tenere a freno l'influenza degli oligarchi - un gruppo di persone che negli ultimi vent'anni ha fiaccato l'economia con saccheggi sistematici e con la sua incompetenza.
La riforma dell'Fmi è sensata e dovrebbe essere incoraggiata. Gli europei non hanno bisogno del loro attuale livello di rappresentanza, mentre si dovrebbero rafforzare le posizioni e le voci dei Paesi a medio e basso reddito.
Al Congresso l'Amministrazione Obama deve appoggiare questa riforma, adducendo argomentazioni a suo favore in modo più diretto e incisivo. Peccato che la tediosità congenita dell'Fmi lo renda difficile.

Traduzione di Anna Bissanti
Simon Johnson insegna alla Sloan School of Management dell'Mit, ed è uno degli autori di "White House Burning: The Founding Fathers, Our National Debt, And Why It Matters To You".
Copyright: Project Syndicate, 2014.
www.project-syndicate.org

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