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La stroncatura fallita di Piketty

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La stroncatura fallita di Piketty

L'economista Thomas Piketty ha replicato diffusamente al tentativo di stroncatura del suo Capital in the Twenty-First Century da parte di Chris Giles, caporedattore economico del Financial Times, ed è stato molto efficace. Giles in sostanza ha cercato di paragonare le mele con le pere, e il risultato è stata una frittata. Il punto centrale della questione è qualcosa che chi studia in modo approfondito la disuguaglianza conosce bene.

Abbiamo due tipi di dati sulla distribuzione del reddito e della ricchezza: le indagini, in cui si chiede alle persone che cosa fanno o che cosa hanno, e i dati del fisco. I dati delle indagini sono più indicati per descrivere le famiglie a basso reddito, che spesso non pagano tasse: ma il loro limite, notoriamente, è che sottostimano i redditi e il patrimonio dei più ricchi, perché (per dirla grossolanamente) intervistare i miliardari non è facile. Inoltre, si è cominciato a fare le indagini in tempi relativamente recenti, dopo la seconda guerra mondiale e in molti casi parecchio dopo.

Insomma, Piketty ha lavorato principalmente con dati fiscali, anche se in alcuni casi ha fatto ricorso ai dati delle indagini; quando li ha usati tutti e due ha tenuto conto della distorsione per difetto delle stime da indagini sulle ricchezze più alte.
Giles, in sostanza, sottolinea che alcune stime da indagini delle grandi fortune, relativamente recenti, sono più basse delle stime ricavate dai dati fiscali e relative a periodi precedenti, e usa questo fatto per sostenere che non esiste nessuna tendenza chiara verso una concentrazione della ricchezza. Bzzt! Errore!

Dovrebbe bastare a chiudere la questione, ma ovviamente non sarà così. I negazionisti della disuguaglianza leggeranno la recensione negativa del Financial Times ed entrerà a far parte di quello che «sanno» essere vero.

La stessa vecchia storia
Io non so che cosa voleva fare il signor Giles, ma so che cosa ha fatto concretamente, ed è la stessa vecchia storia. Da quando è diventato evidente che la disuguaglianza è in crescita – già dagli anni 80 – sul versante destro dello schieramento politico è nata una florida industria del «negazionismo della disuguaglianza». Questa corrente di pensiero non si basa su una tesi sola, non propone obiezioni coerenti. Si limita a lanciare in aria a casaccio tanti argomenti diversi, sperando che qualcuno attecchisca: non è vero che la disuguaglianza sta aumentando; è vero che sta aumentando, ma è compensata dalla mobilità sociale; è annullata dall'incremento dell'assistenza ai poveri (che stiamo cercando di distruggere, ma questo è un altro discorso); in ogni caso, la disuguaglianza è positiva. Tutti questi argomenti vengono proposti contemporaneamente, e la forza dei dati non basta a mandarli «al macero»: continuano a rispuntare fuori.

Guardate l'articolo che ho scritto per The American Prospect 22 anni fa, intitolato «I ricchi, la destra e i fatti» (potete leggerlo qui: bit.ly/1h4ndwE; e anche se il sito del Prospect non lo dice, vi confermo che è stato pubblicato nel 1992). Tutti gli argomenti fasulli elencati lì sono in circolazione ancora oggi. E sappiamo benissimo perché: per difendere l'1 per cento dalla minaccia di aumenti delle tasse e altre misure che potrebbero penalizzare i redditi più alti.

La novità nell'ultima tornata è la sede. Tradizionalmente il negazionismo della disuguaglianza trovava spazio sulla pagina degli editoriali del Wall Street Journal e altre pubblicazioni della stessa tendenza. Vederlo espandersi al Financial Times è una novità, ed è un segnale che l'autorevole quotidiano inglese potrebbe essere affetto da murdochizzazione strisciante.
(Traduzione di Fabio Galimberti)

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