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Elogio della nuova normalità della Cina

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l'analisi

Elogio della nuova normalità della Cina

PECHINO – L'economia cinese, finalmente, sta vivendo una fase di ribilanciamento, con i tassi di crescita che da oltre il 10 per cento di prima del 2008 sono calati oggi al 7,5 per cento circa. Si tratta della "nuova normalità" per la Cina? Oppure il paese deve aspettarsi una crescita ancora più lenta nel prossimo decennio?

Il ribilanciamento della Cina è evidente, in primo luogo e di gran lunga nel settore delle esportazioni. La crescita delle esportazioni ha rallentato, passando dalla sua media annua del 29 per cento nel periodo 2001-2008 a meno del 10 per cento, rendendo così la domanda dall'estero un motore di crescita di gran lunga meno importante.

Oltretutto, l'anno scorso l'occupazione e la produzione nel settore manifatturiero hanno iniziato a diminuire in percentuale rispetto al totale. In effetti, nel primo semestre di quest'anno i servizi hanno contribuito per oltre la metà alla crescita economica complessiva. Non stupisce, di conseguenza, che le eccedenze delle partite correnti si siano rapidamente ridotte, passando dal picco superiore al 10 per cento del Pil nel 2007 all'attuale 2 per cento circa del Pil.

Questo riequilibrio ha concorso a migliorare la distribuzione del reddito in Cina. In realtà, negli ultimi anni la percentuale del reddito nazionale da lavoro è andata aumentando, riflesso diretto del calo nel settore manifatturiero e dell'espansione dei servizi.
Tutto ciò ha significato anche un più ampio riequilibrio a livello di regioni: le province della costa, che producono oltre l'85 per cento delle esportazioni del paese, stanno vivendo il loro periodo di recessione più vistoso, mentre le province dell'entroterra hanno mantenuto tassi di crescita relativamente alti. Di conseguenza, il Coefficiente di Gini della Cina (un indice della disuguaglianza su base 100 punti, in base al quale allo zero corrisponde l'uguaglianza assoluta e all'uno la disuguaglianza assoluta), nel 2012 è sceso allo 0,50, mentre nel 2010 era a 0,52.

A indurre questi cambiamenti sono per lo più due fattori principali. Il primo è il calo della domanda globale, nella scia della crisi finanziaria del 2008 che ha costretto la Cina ad adeguare il suo modello di crescita prima del previsto. Il secondo è la continua trasformazione della Cina a livello demografico. Rispetto alla popolazione complessiva, la percentuale dei cittadini cinesi in età da lavoro (da 16 a 65 anni) continua a scendere dopo aver raggiunto nel 2010 il suo picco massimo con il 72 per cento. Anche il numero assoluto delle persone in età da lavoro continua a diminuire dal 2012.

Al tempo stesso, la Cina sta vivendo una fase di rapida urbanizzazione e nel periodo 2001-2008 circa 200 milioni di persone hanno abbandonato il settore agricolo per cercare posti di lavoro nelle industrie manifatturiere delle grandi città. Più di recente, tuttavia, il ritmo di questa migrazione è sostanzialmente rallentato, e le aree rurali mantengono tuttora il 35 per cento della forza lavoro cinese complessiva.

Tutto ciò comporta tassi inferiori di crescita per la Cina – anche se forse non bassi al 6-7 per cento come alcuni economisti, quali Liu Shijing e Cai Fang, prevedono per il prossimo decennio. In realtà, fare affidamento sul passato record della crescita cinese per fare previsioni sulla futura performance della crescita è di per sé complicato, a causa non soltanto degli importanti cambiamenti subentrati nella forza lavoro, ma anche perché il ritmo e le dimensioni della crescita pre-2008 in Cina erano senza precedenti.
Tanto per cominciare, è plausibile che il contributo alla crescita della produzione della percentuale in aumento della popolazione in età da lavoro prima del 2010 sia stata sovrastimato. Ciò rende il successivo calo nel rapporto tra i due un indice non accurato col quale determinare l'impatto negativo sulla performance economica.

Per di più, questo approccio non tiene conto dei benefici dell'istruzione di cui la Cina godrà nei prossimi vent'anni, quando la generazione più giovane sostituirà i lavoratori più anziani. Al momento, il tasso di rendimento rapportato al livello di istruzione dei cinesi di età compresa tra 50 e 60 anni è la metà di quello dei 20-25enni. In altri termini, i giovani lavoratori saranno due volte più produttivi rispetto a coloro che andranno in pensione.
In effetti, il livello di istruzione raggiunto in Cina continua a migliorare. Entro il 2020 la percentuale dei 18-22ennni che studieranno all'università raggiungerà il 40 per cento rispetto all'odierno 32 per cento. Questo miglioramento in termini di capitale umano è destinato, in certa misura, a controbilanciare la perdita netta di forza lavoro.
Oltre a ciò, l'età prevista in Cina per il pensionamento – appena 50 anni per le donne e 60 per gli uomini – fornisce ai policy-maker un ampio margine di manovra. Aumentando l'età della pensione anche di soli sei mesi per ognuno dei prossimi dieci anni, si potrebbe compensare agevolmente il calo annuo nella forza lavoro, che nel medesimo periodo si prevede intorno ai 2,5 milioni di lavoratori.

Altri trend stanno dando un forte slancio ulteriore alle prospettive della Cina. Anche se gli investimenti sembrano quasi certamente destinati a calare come percentuale del Pil, probabilmente occorreranno dieci anni prima che essi scendano sotto il 40 per cento – una percentuale ancora significativa per gli standard internazionali. Nel frattempo, il capitale sociale potrà mantenere un ragionevole tasso di crescita.

Infine, la capacità della Cina di innovare aumenta di continuo, grazie al capitale umano in rapido miglioramento e ai sempre maggiori investimenti nella ricerca e nello sviluppo. Entro l'anno prossimo, la spesa cinese per la Ricerca e lo Sviluppo, al 2,2 per cento del Pil, sarà ancora più vicina ai livelli dei paesi avanzati.

Sulla base di questi trend – e dando per scontato un tasso continuo di partecipazione della forza lavoro – il tasso di crescita potenziale della Cina nel prossimo decennio quasi certamente si aggirerà intorno al 6,9-7,6 per cento, con una media del 7,27 per cento. Pur essendo forse molto più basso rispetto all'indice medio di crescita del 9,4 per cento nel periodo 1988-2013, questo tasso continuerà in ogni caso a essere più che adeguato agli standard globali. Se questa è la "nuova normalità" della Cina, il resto del mondo continuerà a invidiarla ancora.

Traduzione di Anna Bissanti
Yao Yang è preside della National School of Development e direttore del China Center for Economic Research all'Università di Pechino.
Copyright: Project Syndicate, 2014.
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