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Perché la Fed andrà più veloce

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Perché la Fed andrà più veloce

CAMBRIDGE – La Federal Reserve degli Stati Uniti ha messo in risalto che la sua politica monetaria sarà definita da ciò che segnalano gli indicatori economici. Tuttavia, per modificare il tacito piano della Fed di porre fine nell'ottobre di quest'anno ai suoi acquisti di asset a lungo termine (con il cosiddetto alleggerimento quantitativo, il “quantitative easing”) e a un certo punto, nella prima metà del 2015, iniziare ad aumentare il tasso dei fondi federali dal loro attuale livello intorno allo zero sarebbero necessari dati estremamente inverosimili.

I mercati finanziari sono presi dalla smania di anticipare se i tassi aumenteranno a marzo o a giugno. Anche se io sono dell'opinione che la Fed inizierà più probabilmente ad aumentare i tassi a marzo, la data di inizio è meno importante del ritmo che assumerà l'aumento del tasso, e meno importante quanto capire a che punto si troverà tale tasso alla fine del 2015.

Tra i membri del Federal Open Market Committee (Fomc) che fissa il tasso vi sono le più svariate opinioni. Le opinioni raccolte al recente meeting della FOMC in media prevedono per la fine del 2015 un tasso dei fondi federali intorno all'1,25-1,5 per cento. Alla fine del 2016, la media prevista si aggira sotto al 3 per cento.
Dal mio punto di vista, tassi simili sarebbero troppo bassi. Nel momento in cui l'inflazione è già vicina al 2 per cento, o è di poco più alta a seconda di come la si quantifica, il tasso reale dei fondi federali per la fine del 2015 sarebbe a zero. Invece di garantire la stabilità dei prezzi, la politica monetaria incrementerebbe un ulteriore aumento del tasso di inflazione.

Anche se è possibile argomentare con precisione e adeguatezza il livello del tasso dei fondi federali, l'analisi della stessa Fed indica un tasso a lungo termine di circa il 4 per cento quando il tasso di inflazione a lungo termine è del 2 per cento. Il valore più recente dell' indice dei prezzi al consumo (Pce) è cresciuto dell'1,7 per cento su base annua, e se si escludesse l'anomalo calo nell'ultimo mese il valore acquisito nei 12 mesi sarebbe ancora più elevato. Nel secondo trimestre di quest'anno, il tasso dell'inflazione su base annua è stato del 4 per cento.

La Fed predilige misurare l'inflazione per mezzo dell'indice dei prezzi per la spesa per i consumi personali. Il suo atteggiamento rilassato al riguardo dell'inflazione riflette il fatto che si focalizza sul passato a più lungo termine, con un'inflazione per il Pce di appena l'1,5 per cento per i 12 mesi dall'agosto 2013 all'agosto di quest'anno, proprio come il tasso di inflazione di fondo del Pce che esclude i generi alimentari e le spese energetiche. Ma anche l'inflazione del Pce sta aumentando, e il suo valore trimestrale più recente nel periodo aprile-giugno è stato del 2,3 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.

Se dunque la stabilità dei prezzi fosse l'unico obbiettivo della Fed, al momento il tasso dei fondi federali dovrebbe essere prossimo al 4 per cento. La motivazione addotta dalla Fed per continuare la sua politica di alleggerimento monetario è che il suo “duplice mandato” le impone di occuparsi anche dell'occupazione. Le sue notifiche mensili evidenziano che sussiste ancora oggi “una significativa sotto-utilizzazione delle risorse lavorative”, che riflettono non soltanto il tasso di disoccupazione del 6,1 per cento, ma anche quei milioni di dipendenti part-time che cercano un lavoro a tempo pieno e coloro che non rientrano nel numero di chi è considerato disoccupato soltanto perché da tempo non cercano più attivamente un posto di lavoro.

La Fed ha sicuramente ragione quando afferma che le attuali condizioni del mercato del lavoro implicano un significativo spreco economico e molteplici sofferenze a livello personale. Ma gli economisti discutono per capire fino a che punto queste condizioni riflettano una ciclica penuria della domanda o problemi più strutturali, per porre rimedio ai quali non è sufficiente imporre uno stimolo monetario. Un recente studio di un gruppo di economisti della Fed è giunto alla conclusione che quasi tutto il calo che si denota attualmente nel tasso di partecipazione della forza lavoro riflette l'invecchiamento della popolazione e altre cause intrinseche e strutturali.

Anche una recente ricerca indica che gli aumenti nella domanda che provocherebbero una ulteriore riduzione dell' attuale tasso di disoccupazione darebbero forte slancio al tasso di inflazione. Un importante studio cofirmato da Alan Krueger della Princeton University, che fino all'anno scorso ha ricoperto la carica di Presidente del Consiglio dei consulenti economici del presidente Obama, ha evidenziato che il tasso di inflazione riflette il livello di disoccupazione a breve termine (quella che dura meno di sei mesi), e non il tasso complessivo di disoccupazione. Una disoccupazione a più lungo termine implica uno spreco della produzione potenziale ed è causa di sofferenze a livello personale, ma non ha un impatto sul tasso di inflazione.

L'analisi di Krueger indica che il tasso di inflazione inizia ad aumentare quando il tasso di disoccupazione a breve termine scende al 4-5 per cento. Con una disoccupazione a breve termine che si colloca attualmente intorno al 4,2 per cento, il tasso di inflazione sta effettivamente salendo, e la ricerca di Krueger indica proprio che aumenterà ancor più nei prossimi mesi.

Analoghi studi condotti da Robert Gordon della Northwestern University e da Glenn Rudebusch e John Wiliams della San Francisco Federal Reserve Bank, convergono verso la medesima conclusione circa il ruolo della disoccupazione a breve termine e l'irrilevanza della disoccupazione a lungo termine nel processo di inflazione. Anche se non tutti i ricercatori concordano con questa analisi, io ritengo che ci siano prove sufficientemente solide da costituire un monito per la Fed e chi partecipa al mercato.

In verità, non mi stupirei più di tanto se nel 2015 il tasso di inflazione facesse registrare un aumento continuo. In quel caso, la Fed probabilmente aumenterà il tasso dei fondi federali più rapidamente e lo porterà a un livello più elevato entro la fine dell'anno di quanto le sue dichiarazioni lascino intendere.

Traduzione di Anna Bissanti
Martin Feldstein, professore di Economia all'Harvard University e presidente emerito del National Bureau of Economic Research, ha presieduto il Consiglio dei consulenti economici del presidente Ronald Reagan dal 1982 al 1984.
Copyright: Project Syndicate, 2014.

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